Roberto Cappello suona “Der Schwanengesang” di Schubert nella trascrizione pianistica di Liszt: è un omaggio raffinato al compositore nei giorni esatti in cui scocca il 200° anniversario della nascita, il programma scelto dall’Associazione Filarmonica di Rovereto per inaugurare la propria stagione di concerti. Sentire dal vivo la trascrizione completa del ciclo liederistico che Schubert compose l’anno della morte non è cosa tanto frequente: e Cappello ne ha fatto sapientemente uno dei leitmotiv della sua attività concertistica durante questo 2011 che ha visto il mondo pianistico costantemente rivolto verso la figura e l’opera di Liszt.
L’esecuzione è generosa, l’ascolto impegnativo: la liederistica in Italia è di raro ascolto, nella trascrizione pianistica poi domina una traduzione che si serve di un virtuosismo arduo all’interprete ma non spettacolare come quello di altre pagine lisztiane. Però il pubblico è concentrato, attento, e segue il filo della musica che è narrazione e ricchissimo affresco di emozioni contrastanti.

Esecuzione compatta, programma ovviamente senza intervallo, ma a metà ciclo, dopo la notissima Serenata (Ständchen), parte un applauso: sull’ultima nota, prima ancora che finisca, potentissimo e prepotente, zittito da alcuni vicini ma pervicacemente ostinato, fino a tirarsi dietro parte del pubblico e far alzare (a malincuore, è parso) Cappello per un inchino che interrompeva la tensione del programma.
Non vogliamo passare per puristi, non condanniamo ad ogni costo l’applauso fuori luogo: però quell’applauso era un applauso stonato. Non era l’entusiasmo che dal fortissimo del finale di un primo tempo di sinfonia si trasferisce gioiosamente al battimani incontrollato. No: con una certa amarezza pensiamo che chi ha applaudito non l’ha fatto per premiare il maggior pregio dell’esecuzione, ma per la ben nota riconoscibilità della melodia della Serenata (l’unico tra i brani trascritti da Liszt di questo ciclo ad essere regolarmente suonato in pubblico). Della serie: non è bello ciò che è bello, è bello ciò che si (ri)conosce.
Un applauso di profondo narcisismo dunque – e, ci pare, di ignorante maleducazione – da parte dell’anonimo entusiasta, che trova bello ciò che conosce già e che premia non la bravura dell’interprete ma l’omaggio alla propria (limitata?) conoscenza musicale.
Emilia Campagna
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