IL PIZZICO
di Luca Pavanel
Grandi maestri, molto garbo: non sempre questa equazione è valida. Anche il pubblico però, quando ci si mette… Ma partiamo dal principio che, stavolta, ce n’è per gli uni e per gli altri. Così, per non fare torti a nessuno.
Intanto, quella del musicista per forza “saggio, gentile, aperto al mondo” – perché come un santone al climax del suo essere e del suo sapere – a parte qualche caso è una leggenda metropolitana. Le cronache, i retroscena e i pettegolezzi su carta stampata e via etere non hanno mancato e non mancano di dimostrarlo. Giusto per fare qualche esempio: l’interprete che rimprovera l’universo mondo perché dalla sala ha sentito arrivare un battito d’ali di farfalla; il cantante di grido che fa le bizze più del dovuto e manda al diavolo l’ente lirico che lo ha scritturato, il mega/super/iper compositore che alla conferenza stampa la spara troppo grossa. Insomma: maestri sì, magari non proprio di vita. E neanche di buone maniere.
A questa categoria – nonostante l’increscioso episodio che lo ha visto protagonista – non può essere ascritto un giovane pianista che qualche sera fa, durante un recital di Buon 2012, con delicatesse a base di autori francesi della serie Debussy e Ravel, ha deciso di lasciare il palcoscenico, in segno di protesta; qualche minuto dopo è riapparso con un sorriso tirato, quasi scusandosi e ha ripreso a suonare. Chapeau. Lasciamo stare il nome, la città, la scena: quel che conta è il fatto. La causa: nel corso dell’esecuzione la platea al buio, per suoni e rumori, più che una moltitudine concentrata ad ascoltare, sembrava una savana. A parte il brusio intermittente, il “grosso” del disturbo è arrivato dalle suonerie di telefonini che spuntavano qua e là, come funghi. Da non credere!!!
Ora, non si può affermare che questo avvenga spesso. Ma succede e le forme clamorose seppur rare, esistono. E poiché al peggio non c’è mai fine, pare doveroso ricordare almeno i fondamentali. Vediamo.
1) Un auditorium non è una chiesa, ma per gli appassionati musicofili poco ci manca. Una volta partita la proposta musicale, è considerato peccato mortale – se non sacrilegio – fare rumore, figuriamoci far squillare i telefonini; spegneteli please!!!
2) Mangiare durante l’esecuzione di Bach & Co. beh, insomma… per convincersene, basta per un attivo pensare alla quantità e alla qualità delle cose che si producono: rumoracci molesti, briciole e cartacce. Meglio prendersi un cappuccino prima di entrare, o no?
3) Insopportabili le coppiette (spesso di giovanissimi) che durante il programma non possono fare a meno delle effusioni; che dire: esiste una moltitudine di luoghi ove ci si può riempire reciprocamente di attenzioni. In mancanza di suggeritori attendibili, chiedere a mamma e papà.
4) Dulcis in fundo, vietati gli animali. Proprio così, è capitato di assistere a scenette tipo la signora che arriva con l’amico a quattro zampe “perché a casa non sa stare da solo”. Che fare? Le aree cani nei teatri non le hanno ancora inventate, dunque tocca adeguarsi…
Tutto il mondo è paese!
(riporto dal sito americano http://www.wqxr.org)
Alan Gilbert was right.
Last night, in one of the quietest parts of the final movement of a gorgeous New York Philharmonic performance of Mahler’s Ninth, a cell phone started ringing … and ringing, and ringing, and ringing. Alan Gilbert, who was on the podium in Avery Fisher Hall, glared in the direction of the phone, but it kept right on going. Then, the music got louder, and we all assumed that whoever owned the phone had done something about it. But minutes later, when the music got softer again the phone was still going (an iPhone marimba ringtone)
So Gilbert stopped the performance. He then turned around and indicated that the phone should be turned off. It continued. The conductor then said to the phone’s owner, who was sitting in the front, “You have a phone… Fine, we’ll wait.” And we did, with audience members standing up, pointing in the direction of the offender, and shouting things like “Throw him out!” When the phone was finally silenced, Gilbert turned to the audience to apologize.
“Usually, when there’s a disturbance like this, it is best to ignore it,” he said. “But this was so egregious…” And he was right. It was egregious. The audience clearly agreed, giving him wildly supportive applause.
una volta, cinque o sei anni fa, ero andato ad ascoltare le Quattro Stagioni. Sembra incredibile, ma non avevo mai avuto modo di ascoltarle dal vivo, per chissà quale congiunzione astrale avversa. Insomma mi siedo in platea, in un posto comunissimo, tra il nulla generale. Saremmo stati sì e no in 20, e attorno a ognuno ce n’erano di posti liberi, tipo Campo minato, o Prato fiorito, secondo le ultime richieste del politically correct. Arriva questa mamma, anche carina, con pargolo al seguito: un angioletto, sembrava. Si siedono, ovviamente accanto a me. Inizia la Primavera, tutto bene. Estate, tutto perfetto, non vola una mosca. Autunno. Fa freddo: iniziano i primi colpi di tosse, tutti dal povero pargolo. A metà Inverno quasi non si va più avanti: puntuale come un basso continuo, il povero bimbo accompagna Vivaldi. Intervallo. Mi dispiace vederlo così e allora dico alla mamma: “Sa, un bimbetto così piccolo a un Concerto è sempre un pericolo, uno non sa mai cosa possa venirgli in mente di gridare, tra un pianissimo e un altro, ma suo figlio è davvero un angioletto. Peccato solo per questa tosse!”.
E lei, come se niente fosse, mi risponde: “Eh, sì, peccato, ha la pertosse!”.
Dico, la pertosse, vi giuro. E lei ce l’ha portato, al concerto, come se niente fosse. Non vi racconto la seconda metà del concerto. Era lui il solista, alla fine quasi gli chiedevano il bis. La pertosse.