Opera | Doppia recensione | Primo cast
Inaugurazione per la stagione 2012/13 del teatro veneziano con la penultima opera scritta da Verdi. Gregory Kunde è un protagonista che, a differenza di suoi grandi predecessori, privilegia l’aspetto del canto rispetto a quello della presenza scenica
di Ilaria Badino
[laquo]Un bacio… un bacio ancora… ah!… un altro bacio…». Si conclude così, morendo con il protagonista eponimo, estinguendosi flebilmente assieme a lui, il penultimo capolavoro del Cigno di Busseto, riprendendo la medesima musica amorosamente trasfigurante e le stesse parole sussurrate nell’estasi delle notturne delizie coniugali del duetto conclusivo del prim’atto. Tenerezza che manca del tutto nell’omonima opera rossiniana, caposaldo del repertorio a partire dall’anno della sua creazione a Napoli (1816) sino all’avvento dell’Otello di Boito-Verdi nel 1887, che la soppiantò in quanto più rispondente alle frattempo mutate esigenze da parte del pubblico di sempre maggiore pregnanza drammatica.
Gregory Kunde, prima di avventurarsi nel temibile debutto nel Moro verdiano, è stato Otello rossiniano di assoluto riferimento per incisività interpretativa; è sorprendente, ma non inaspettato, come i panni del condottiero della Repubblica lagunare gli si confacciano perfettamente anche nell’ambito di una scrittura del tutto diversa da quella a cui era abituato. Anzi, forse proprio in virtù della familiarità con il Belcanto, la sua interpretazione risulta rivoluzionaria rispetto a ciò in cui la tradizione esecutiva aveva trasformato il Moro verdiano negli ultimi vent’anni, parte di cui, volens nolens, gli esecutori più rappresentativi sono stati Plácido Domingo, José Cura e Vladimir Galouzine, tutti volti a prediligere – sia per scelta artistica sia per limiti vocali di cantabilità e d’ascesa verso l’acuto – l’aspetto smaccatamente scenico a quello dell’espressività canora. Proprio nell’aver saputo fondere le due anime di questo complesso personaggio musicale, Kunde ha dato vita al suo piccolo grande miracolo: finalmente un Otello che canta e che s’avvale soltanto di movimenti essenziali, non trincerandosi dietro alla facile maschera della tracotanza mimico-gestuale. E se l’aspetto eroico-ferino è reso in maniera magistrale nell’impeto di un glorioso «Esultate!», in uno spavaldo «Sì, pel ciel marmoreo giuro!» e nell’affilato metallo del Do naturale del «Vil cortigiana!», quello fragilmente umano si screzia d’innumerevoli nuances nel fremente «Già nella notte densa», nel declamato intimamente sofferto e drammaticamente teso di «Dio! Mi potevi scagliar», nonché nel commovente finale.
Desdemona era l’emergente Leah Crocetto, poco convincente quale soave sposa del generale non tanto perché dotata di una fisicità non proprio silfidea, ma piuttosto a causa di un’acerbità che non le permette ancora di essere piena padrona del palcoscenico e della tendenziale monocromia su cui ha impostato la propria interpretazione. Intendiamoci: la voce è importante e sonora sia nelle discese al grave che nei filati acuti, ma lo scavo psicologico del personaggio è ancora in nuce e, come tale, parco nel trasmettere emozioni. Lucio Gallo, al contrario, si muove con estrema disinvoltura nelle scomode vesti di Jago, e si chiude quindi volentieri un occhio sulle vette svirgolate del «Beva, beva». Ineffabile il Cassio di Francesco Marsiglia, di buon livello il resto del cast. Myung-Whun Chung dirige senza quasi mai gettare lo sguardo su una partitura di cui conosce in profondità i ricami ed i tumulti, rendendoli, forte della complicità delle ottime masse della Fenice, romanticamente vibranti pur in ottica di levigatezza formale di fondo.
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Non posso che concordare con la recensione. Tengo a sottolineare che la capacità di Kunde di essere un Otello nuovo, moderno e personale è dovuto, soprattutto a differenza dei moderni Cura e Galouzine, alla musicalità naturale che il tenore americano possiede e che gli anni di frequentazione del belcanto gli hanno permesso di limare e di accentuare. In passato credo solo Carreras abbia cantato entrambe le parti di Otello (quello verdiano solo alcuni estratti) . Mi sento abbastanza sicuro nell’affermare che in futuro sarà quasi impossibile sentire un tenore in grado di cantare entrambi i “mori” in modo così credibile e personale come Kunde ha fatto. Ci auguriamo che riprenda il ruolo il prima possibile.
Mi trovo pienamente d’accordo su quanto scritto. Non ho potuto assistere al teatro ma la ripresa radiofonica è stata a mio avviso buona e coinvolgente.
Concordo in pieno !!!
Kunde è da sempre un tenore di riferimento per quanto riguarda il repertoio belcantista ed in particolare rossiniano.
Trovo segno di una tecnica infallibile il fatto che sia riuscito ad affrontare così bene sia l’Otello rossiniano che quello verdiano !! Bene !!.
Plauso comunque alla splendida recensione scritta con professionalità, chiara e tecnicamente ottima !!!!
Nicholas Tagliatini