News • Di modernissima e tecnologica concezione, anche sede di un Auditorium e Polo di ricerca, si configura come il punto di riferimento internazionale di prestigiose collezioni ed esemplari della liuteria classica cremonese (Stradivari, Amati, Guarneri del Gesù) ma anche di quella nuova
di Laura Mazzagufo
Incorniciata da nastri, svolazzanti tricolori e vivaci stendardi, la centralissima piazza Marconi accoglie a Cremona il nuovo Museo del Violino con gran fermento. Una struttura di livello internazionale che è insieme un museo, sala da concerto, polo di ricerca e che nelle intenzioni mecenatistiche della Fondazione Arvedi Buschini dovrebbe essere un «punto di partenza per la rinascita di Cremona dal suo isolamento». L’inaugurazione è avvenuta l’altro ieri, dopo due anni di frenetici lavori che hanno trasformato, con un progetto firmato Giorgio Palù e Michele Bianchi, l’abbandonato Palazzo dell’Arte nella vetrina europea di quel “saper fare tradizionale del violino a Cremona”, recentemente inserito tra i patrimoni immateriali dell’Unesco. Che la giornata sia tutta votata alla città e alla celebrazione dei suoi antichi fasti non c’è dubbio: ultimo di una serie di eventi che hanno costituito l’Anteprima MdV, il taglio del nastro si è svolto alla presenza del ministro per i Beni Culturali e il Turismo Massimo Bray e di altre presenze della politica locale e nazionale, tra le quali Giulio Tremonti e Pierluigi Bersani.


Il museo inizia fuori, in piazza. Il metallico violino, che troneggia su un lato di questo nuovo spazio cittadino ed opera dello scultore Helidon Xhixha, preannuncia – come sottolineato più volte dal sindaco di Cremona Oreste Perri – il carattere «interattivo che coniuga passato e futuro» del polo museale, orgoglio della direttrice Virginia Villa. All’ingresso ci accoglie invece un gigante di quattro metri, seduto a terra con le ginocchia al petto e come pelle un pentagramma trapuntato di note e chiavi di violino: “L’anima della musica” nell’interpretazione del catalano Jaume Plensa. Questa nostra passeggiata al Museo del Violino tralascia intenzionalmente il piano terra, che ospita lounge bar, il foyer dell’avveniristico Auditorium “Giovanni Arvedi”, il padiglione delle esposizioni temporanee, le aree destinate ai laboratori universitari e per questo interdette al pubblico e l’immancabile bookshop; si svolge invece interamente al primo piano.
L’approccio iniziale, a differenza di altri aspetti estremamente specifici, pone l’accento sulla vocazione didattica del percorso, attitudine che gli ideatori del museo hanno posto al servizio dei più piccoli nella forma di colorate postazioni multimediali. Ci inoltriamo nella Sala 1, una scura galleria che proietta sulle sue pareti i punti essenziali delle origini storiche dello strumento. Schermi touch e violini che si scompongono sotto le nostre dita, strumenti che emergono da tavoli dal design accattivante, futuristici schermi piatti quasi sospesi in aria o disposti in serie a fisarmonica. Se il fine è stupire e coinvolgere, rendendo il museo una struttura viva, a misura del pubblico, l’obiettivo è raggiunto: a prima vista il visitatore resterà impressionato. Non c’è nulla di più distante dall’idea della sala espositiva in cui il pubblico passeggia distrattamente guardando un po’ a destra, un po’ a sinistra, fermandosi ogni tanto a leggere una didascalia per poi uscire seguendo il percorso indicato. Il Museo del Violino non si sviluppa a destra o a sinistra del visitatore, semmai è tutto intorno a lui, persino sopra la sua testa. Si muove con lui, accompagnandolo da una sala all’altra. Studia lo spazio affinché tutto sia in armonia con il tema principale, la musica. Per questo motivo il legno e il velluto veicolano con cura le note dei concerti di Paganini che sgorgano delicatamente dagli altoparlanti. Per questo motivo è stata concepita la sala d’ascolto, piccolo gioiello d’acustica con le sembianze di un gran guscio ligneo (sul suo soffitto sono proiettati spezzoni di famosi concerti e il visitatore può sedersi o addirittura stendersi sulle poltroncine e godersi lo spettacolo). E ancora, la Sala 2 è tanto tematicamente quanto materialmente costruita intorno alla bottega del liutaio: a tal punto che dietro una parete di vetro (ma fin troppo “in vetrina”) se ne può spiare uno al lavoro. Pregevole la collezione di strumenti che compendia la storia della liuteria cremonese dopo Stradivari (Sala 7); stimolante (se non utile, per chi appartiene al settore!) l’esposizione degli strumenti vincitori del concorso di liuteria della Triennale, impreziosita dalla possibilità di ascoltarne il suono sulle audioguide e di conoscerne i costruttori sulle cornici digitali appese alla parete, come ritratti di famiglia (Sala 8).

Ma nulla compete con lo spettacolo offerto dalla Sala 5: dinnanzi ai più grandi capolavori dell’arte liutaria cremonese la lingua ammutolisce. Avere a pochi centimetri dal proprio naso strumenti come Il Cremonese 1715 di Stradivari o il Carlo IX 1566 di Amati batte qualsiasi trucco della moderna tecnologia. L’illuminazione perfetta, l’atmosfera vellutata, il tenue sottofondo musicale, il senso di magnificenza dell’alto soffitto ci fanno godere appieno questo momento: scivoliamo tra gli Amati, gli Stradivari e i Guarneri come fossimo nella navata di una chiesa. Una collezione eccelsa raccolta dal Comune di Cremona con incredibile lungimiranza negli anni Sessanta, potenziata dagli strumenti della Fondazione Walter Stauffer e completata da quelli temporaneamente esposti nella Sala 9 (tra cui lo Stradivari Sunrise 1677, famoso per gli intarsi che decorano fasce e riccio) e appartenenti a raccolte pubbliche e private del network “Friends of Stradivari”.

Tutto ciò funziona perfettamente. Ciò che a nostro avviso potrebbe essere migliorato, paradossalmente in un museo così votato alla multimedialità, è la quantità di contenuti nella navigazione di alcune schermate touch che rimangono fisse, non quelle che magicamente scompongono il violino in ogni sua parte, bensì quelle che mostrano le schede tecniche degli strumenti esposti, quelle che spiegano il contenuto delle teche e delle vetrine, quelle, insomma, primamente dirette a chi un po’ se ne intende e vuole saperne di più. Così come potrebbero essere ampliate le note esplicative sui grandi capolavori della liuteria classica cremonese, protagonisti della Sala 5 (chiamata appunto Lo scrigno dei tesori) e lasciati «alla nostra contemplazione»: abbandonare il visitatore proprio al cuore del museo ci è parsa alla fine una piccola crudeltà. I 1300 reperti provenienti dalla bottega di Stradivari della Sala 6 sono collocati in tre grandi cassettiere che, se da un lato li proteggono dalla luce, dall’altro li nascondono dagli sguardi assetati del pubblico. Ma ci saranno tempi e modi per perfezionare alcuni aspetti di questo grande polo, esempio di un mecenatismo privato che è auspicabile torni in auge in tutta Italia.
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