È morto a Milano l’attore e regista, protagonista assoluto della nostra epoca. Di riferimento il suo contributo al teatro musicale, da Rossini e Berg alla contemporaneità di Battistelli e Berio
IL regista Luigi Ronconi è morto oggi a Milano. Il suo solido, costante e importantissimo contributo alla regìa del teatro d’opera lo ha presto reso un riferimento di caratura internazionale, ‘voce’ tra le più grandi dei nostri tempi. Davvero innumerevoli le sue regìe, a partire (in riferimento al teatro musicale) dalla fine degli anni Sessanta al Teatro Nuovo di Torino con Arlecchino ovvero le finestre di Ferruccio Busoni, fino all’Armida di Rossini messa in scena a Pesaro la scorsa estate. La figura di Ronconi, Leone d’oro alla carriera nel 2012, dotata di rara luce visionaria ed onirica, ha siglato molte produzioni che hanno lasciato un segno indelebile sia nel rapporto con i compositori della tradizione che nel teatro musicale contemporaneo. Accanto a Claudio Abbado, Marcello Panni, Peter Eötvös (e spesso con le scenografie e i costumi di Gae Aulenti) ha siglato alcune importanti produzioni nel teatro novecentesco: Wozzeck alla Scala nel 1977, Opera di Luciano Berio a Lione nel 1979, Donnerstag aus Licht di Stockhausen sempre al Teatro alla Scala nell’81. La collaborazione con Abbado ha siglato l’importanza de Il viaggio a Reims di Rossini, a Pesaro nel 1984.
Il viaggio a Reims
di Ilaria Badino
PER GLI APPASSIONATI di musica classica, Luca Ronconi non può che essere sinonimo esatto del Viaggio a Reims rossiniano. A quella che è stata forse la resurrezione musicologica (indi musicale) più straordinaria del ventesimo secolo – ossia proprio il reperimento, fra Parigi, Napoli, Washington, Roma, Vienna e New York, delle fonti che permisero a Philip Gossett e a Janet Johnson di ricostruire la partitura originale della fluorescente opera lirica in un atto del Cigno di Pesaro – il nome dell’illustre regista romano è legata a doppio nodo. Rossini Opera Festival, 1984: chiamato a coadiuvare un miracoloso Claudio Abbado ed un cast che, sebbene in realtà perfettibile, era e rimane mitico ed indimenticabile, Ronconi esaltò all’ennesima potenza l’idea di festa musicale che quell’evento di riscoperta comportava facendo compenetrare indissolubilmente tradizione (le marionette danzanti della premiata ditta Colla) e avanguardia (teleschermi che proiettavano immagini di quanto stesse succedendo nell’Auditorium Pedrotti per le strade cittadine e, viceversa, monitor interni che riprendevano il corteo di Carlo X fino al suo ingresso fisico in platea).
La carriera di Ronconi quale regista operistico non si esaurisce comunque certo con questa gemma indiscussa. Anzi, affonda le sue radici alla fine degli anni Sessanta, annoverando tra i frutti più maturi dei lustri successivi la collaborazione costante con un giovane Riccardo Muti, allora direttore principale e musicale del Maggio, dapprima per un Orfeo ed Euridice di Gluck, poi per un Nabucco che combina il passato arcaico di Babilonia con quello recente dei moti risorgimentali, infine per un’essenzialissima Norma. Le due eminenti personalità si ritrovano nel dicembre 2004 in occasione dell’ultimo Sant’Ambrogio mutiano – co-regista Pier Luigi Pizzi –, quell’Europa riconosciuta di Salieri dalle tessiture più che impervie la cui messinscena prevede un omaggio al sommo teatro lirico milanese tramite una superficie specchiante che, dal palcoscenico, riflette il pubblico presente in sala. Tributo non necessario e stucchevole al quale qualche anno dopo nemmeno Robert Carsen, col suo Don Giovanni sempre in apertura di stagione, ha saputo sottrarsi.
Gli ultimi – tanti – anni segnati dalla malattia hanno portato, oltre ad un’evidente stanchezza fisica, anche ad un esaurimento delle velleità di rottura con il mero teatro di tradizione, quindi ad allestimenti lineari, sobri, pacifici. Li differenziano tra loro sfumature di minimalismo registico: talora una spiccata eleganza (La clemenza di Tito, Teatro di San Carlo, 2010, amplificata dai bellissimi costumi ideati dallo stilista Ungaro), talaltra severità ed inazione (Semiramide, ancora a Napoli, 2011), infine fiabesca staticità (l’Armida dei pupi siciliani, 2014, la seconda del ROF che abbia recato la firma di Ronconi).
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