di Attilio Piovano
L’opera lirica un genere in crisi? Tutt’altro, e le prove per confutare tale affermazione non mancano certo. A Torino, la sera di martedì 12 luglio, una folla strabocchevole straripava nella la vasta piazza San Carlo, per l’inaugurazione dell’edizione 2016 del Torino Classical Music Festival. Sul palco Orchestra e Coro del Regio e in programma un allestimento semi-scenico della pucciniana Madama Butterfly che ha stregato un pubblico davvero trasversale, dunque lo zoccolo duro dei melomani incalliti, certo, ma soprattutto una pletora di neofiti, moltissimi i giovani (fa piacere constatarlo), intere famiglie, molti bambini anche in tenera età. E la tragedia della piccola Cio-cio-san ha commosso tutti. A fine serata la piazza era ancora gremita, segno che il melodramma è quanto mai un genere vivo, in grado di commuovere e andare dritto al cuore dell’uomo.
Abbiamo raccolto qualche testimonianza qua e là, girovagando nella piazza (per una volta rifiutando gli accrediti, ovvero intenzionalmente rinunciando ai posti ufficiali dei critici), proprio per poter tastare il polso della folla. E tutti avevano parole di entusiasmo, molti giovani ci hanno confessato candidamente che è stata un’esperienza davvero bella: «È la prima volta che assistiamo ad un’opera – sostengono Claudio e Francesca, una coppia di studenti, ventidue anni entrambi – non credevamo che ci sarebbe piaciuta così tanto». «Siamo passati per caso, sì avevamo visto sul web qualche anticipazione – spigano Marco e Giovanna, impiegati – ma siamo venuti più per curiosità… Pensavamo di fermarci dieci minuti o poco più e poi andare al pub e invece siamo restati sino alla fine». E potremmo continuare a trascrivere brandelli di interviste al volo.
Il Regio come già nelle passate edizioni, ad esempio col Flauto magico, ha affidato a Vittorio Sabadin la confezione di un testo per così dire di raccordo, volto a collegare i passi più celebri dell’opera stessa eseguita dunque in versione sincretistica, preceduta da una accattivante, assai apprezzata e molto ‘giornalistica guida all’ascolto a cura del colto e simpatico Alberto Mattioli. Valida senz’altro l’idea di mettere in scena Puccini medesimo, ottimamente interpretato con calorosi accenti e passabile verosimiglianza da Sandro Lombardi.
Testo, a dire il vero, talora un po’ troppo prolisso (col rischio di far cadere un poco la giusta tensione drammatica) e in qualche caso lievemente didascalico. Peccato peraltro veniale. L’idea si è rivelata vincente consentendo di ‘sintetizzare’ l’opera stessa in tempi ragionevoli (dovendosi rappresentare senza intervallo a partire dalle 21,15 con la luna che spuntava dietro ai tetti delle barocche chiese di San Carlo e Santa Cristina, spettacolare). Due grandi schermi ai lati del palco ed un mega schermo a ridosso della statua equestre che domina la piazza, il celeberrimo Caval ‘d brons, per rendere partecipe l’intera platea. Immancabili i sottotitoli, spigliata la direzione di Francesco Lanzillotta, ma i metri di giudizio in una piazza sono diversi rispetto al chiuso di un teatro. Ovvio che le sfumature timbriche si perdano, certi pianissimi finiscano per risultare inudibili, ad onta dell’amplificazione (per dire, il celeberrimo coro a bocca chiusa si è un po’ perso nell’aria tiepida della sera…). Non è questo, ovviamente, il punto. La regìa di Vittorio Borrelli, semplice e pur funzionale, ha rivelato al pubblico quanto occorreva per ‘entrare’ nel meccanismo melodrammatico (molti seguivano sugli schemi che, grazie ad una vera e propria regia televisiva, meglio ancora focalizzavano primi piani, oggetti e suppellettili). Scene essenziali e pur efficaci di Claudia Boasso con coreografici ‘teli’ rosso fuoco e ideogrammi giapponesi fatti scendere dall’alto in uno dei momenti topici del primo atto.
Bene le voci di Karah Son (Cio-cio-san) appena qualche asprezza che l’amplificazione verosimilmente accentuava, molto bene Piero Pretti (un aitante Pinkerton, assai applaudito), così pure il baritono de Candia (Sharpless), la tenera Suzuki sbozzata dal mezzosoprano Silvia Beltrami e valido altresì il tenore Luca Casalin nel ruolo di Goro. Completavano il cast Kate Fruchterman (Kate Pinkerton), Lorenzo Battagion (il commissario imperiale) e il piccolo Francesco Prisco nel ruolo del figlio di Butterfly. Insomma un bel modo per aprire un festival che si protrae per sei giorni interi (dal 12 al 17 luglio) celebrando il 150° delle relazioni tra Italia e Giappone. Da cui l’idea di aprire con il capolavoro di Puccini impregnato di esotismo primo ’90. Nei giorni successivi si alternano OFT, OSNRai e ancora l’Orchestra del Regio con programmi variegati e solisti di spicco, mentre nei pomeriggi i cortili di alcuni tra i più fascinosi palazzi della Torino barocca si aprono alla musica. Un bel modo di propiziare l’estate e rendere fruibile (grazie anche alla totale gratuità del Festival sostenuto dalla città di Torino) la grande musica ad un pubblico assai vasto e composito. E i benefici influssi si percepiscono ormai da qualche anno, con sensibili ricadute nel corso delle stagioni invernali, in termini di abbonamenti e vendita biglietti: numeri alla mano (come è stato rimarcato in occasione della recente conferenza stampa di presentazione della stagione 2016-17 dell’OSNRai). E non è cosa da poco.