Il pianista milanese ha interpretato il Concerto in re minore KV 466 con la direzione di Gaetano d’Espinosa. In programma anche Il castello del Principe Barbablù di Bartók
di Luca Chierici foto © Alessandro Vascon
I CONCERTI PER PIANOFORTE E ORCHESTRA di Mozart rappresentano un ingrediente costante nella programmazione dell’Orchestra Verdi, che ne aveva dato dieci anni fa addirittura una lettura integrale con la partecipazione di numerosi solisti. Lo stesso Davide Cabassi, chiamato l’altra sera per il Concerto KV466, aveva partecipato in quella occasione alla kermesse, sull’onda di una sua vittoriosa partecipazione al Concorso Van Cliburn. L’appuntamento si è quindi ripetuto a lunga distanza presentandoci un pianista oramai maturo che ha affrontato il celebre capolavoro con grazia discorsiva unita a una solida articolazione del fraseggio mozartiano, senza disdegnare qualche pennellata che si pone al confine tra lo stile Empfindsam e il romanticismo vero e proprio.
Per le cadenze al Concerto in re minore, notoriamente mancanti nella loro stesura originale, Cabassi ha optato per una scelta piuttosto strana, ricorrendo a due lavori coevi (1962) pensati da Alfred Brendel e Paul Badura-Skoda e siglati da dediche reciproche nell’edizione a stampa pubblicata dalla casa editrice Doblinger di Vienna. Di Brendel Cabassi ha scelto la cadenza al primo movimento (cadenza che termina però con il finale di quella di Beethoven) e una fermata per il terzo, mentre per la cadenza del terzo movimento la scelta è caduta su Paul Badura-Skoda, che lavora anche sulla citazione di una antica cadenza di Hummel. Insomma un percorso musicologico complicato che torna alla luce in una manciata di minuti. Meglio sarebbe stato comunque comunicare queste scelte nelle note di sala pubblicate dalla Verdi, a supporto di un pubblico che non si può pensare sia così specializzato nel riconoscimento di questi riferimenti.
Cabassi, al termine della sua applaudita esecuzione, ha offerto un bis beethoveniano molto noto che si riferiva in particolare a una sua recentissima e preziosa pubblicazione discografica. La serata era stata aperta dalla Sinfonia KV 16 di Mozart, la prima, che si ricorda solitamente come presagio del famoso tema di quattro note che sarà più tardi alla base di quell’edificio di straordinaria complessità che è l’ultimo movimento della Sinfonia “Jupiter”. Il direttore Gaetano d’Espinosa e i complessi dell’orchestra Verdi hanno faticato un poco a definire una lettura ispirata di questo breve pezzo tutt’altro che banale ma si sono ampiamente riscattati nella timbricamente molto più complessa partitura del Castello del Principe Barbablù, il capolavoro di Bartók che risuona sempre spettrale, inquietante a distanza di più di cento anni dalla composizione e che ci ricorda come la grande musica non teme mai l’onta del tempo. Un protagonista di notevole spessore, il basso ungherese Krisztián Cser, è stato affiancato da una più smarrita Dshamilja Kaiser, che ha dato voce a un Giuditta dalle mille sfaccettature.
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