La musica da camera di Schubert e Brahms torna a vibrare in Conservatorio con interpreti di altissima preparazione
di Luca Chierici
UN ASPETTO CHE SI PUÒ RIMPROVERARE al quartetto formato dal violinista russo Ilya Gringolts e dai suoi tre compagni di viaggio – due dei quali prime parti nell’Orchestra dell’Opera di Zurigo – è la bravura eccessiva dei singoli componenti, che si oppone a volte alla realizzazione di un suono più omogeneo, a una lettura nella quale non si ascoltano voci protagoniste se non nel momento in cui lo spartito lo richiede espressamente. Non ascoltavamo in pubblico il difficilissimo Quartetto n. 15 in sol maggiore di Schubert da quasi trent’anni e la memoria andava indietro nel tempo all’omogeneità assoluta del Quartetto Italiano o alla cantabilità del Quartetto Melos, i complessi che si presentavano nel Conservatorio milanese in un periodo che ci sembra tanto lontano, e non solamente per un motivo cronologico.
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Straordinariamente bravi i compagni di Gringolts, violinista quest’ultimo che si è apprezzato tante volte nelle vesti di solista e di musicista di rango. Ma quel quartetto è così ostico da richiedere un sedimento lunghissimo, quasi tutta una vita per essere compreso nei suoi molteplici aspetti. È necessario infatti ragionare a lungo, anche tramite l’ascolto delle sonate per pianoforte, sulle singolarità schubertiane nel trattamento dei temi, sui chiaroscuri tonali (magistrali le ripetizioni, gli accostamenti di frammenti tematici in modo minore e maggiore) sul colore strumentale che diventa elemento costitutivo della forma. E una lettura più lineare forse avrebbe giovato di più alla comprensione dell’insieme. Lo stesso problema si è proposto quando alle quattro voci degli archi si è aggiunta quella del pianoforte di Filippo Gamba, solista che a giudicare dalle sue recenti uscite discografiche è una delle voci più interessanti nel panorama pianistico italiano. Non farsi trascinare dall’entusiasmo nel Quintetto in fa minore di Brahms è cosa difficile, e talora si rischia di incappare in qualche momento di sfasatura, come è avvenuto nel finale travolgente.
Rimane comunque il problema relativo alla stabilità dei complessi cameristici, intesa come continuazione nel tempo di un lavoro d’assieme che si perfeziona giorno dopo giorno. Problema che oggi, con l’infittirsi degli impegni in ogni parte del mondo e la necessità di poter usufruire di parti aggiuntive che non sono disposte a seguire un complesso strumentale ovunque esso si trovi, è diventato ancora più critico che in passato. Notevole il successo di pubblico, in una sala non pienissima, con tanto di abbozzo di applauso al termine dell’irruente Scherzo brahmsiano.
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