Alla guida dei fiati dell’Orchestra Haydn l’oboista tedesco ha diretto pagine di Strauss e Mozart alla Filarmonica di Rovereto. Vi proponiamo punti di vista differenti sul concerto, scritti da alcuni dei giovani critici che hanno partecipato al laboratorio di scrittura sulla “recensione” condotto da Carla Moreni
a cura di Parola all’ascolto
I l palcoscenico della giovinezza e l’affezionato pubblico saggio si sono ritrovati, venerdì 20 aprile, presso la Sala Filarmonica di Rovereto silenziosamente sorvegliata dal mezzobusto di Riccardo Zandonai, patrón della vita musicale cittadina e della Stagione concertistica giunta quest’anno alla 90° edizione. Senza dubbio un risultato soddisfacente per i Fiati dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento guidati per l’occasione da un oboista e direttore di fama internazionale come Hans-Jörg Schellenberger che spogliandosi della consueta bacchetta e per l’ultimo brano anche della partitura, ha deciso di esplorare un repertorio ancora in parte sconosciuto o poco familiare al pubblico, come quello della musica per fiati.
La sala, quasi al completo, ha potuto accogliere brani quali la Serenata op. 7 e la Suite op.4 di Richard Strauss affiancati dal capolavoro mozartiano della Serenata “Gran Partita” K361, riproponendoli al pubblico nell’ambiente naturale d’esecuzione, in quanto capolavori di repertorio cameristico. Un programma musicale profumato dalla brillante freschezza delle note di un giovane Strauss nella libertà dei suoi vent’anni ha fatto da preludio al capolavoro di un Mozart ottimista, abile giocoliere delle intense e profonde sonorità degli strumenti a fiato. I Fiati dell’Orchestra Haydn, esecutori titubanti e forse poco coinvolti nella prima parte del concerto, hanno comunque dato prova fin dalle prime battute di Strauss di ottime qualità tecniche e musicali, frenate nell’espressività da una direzione in parte troppo rigida e statica se confrontata con le intense pagine di musica romantica.
Decisamente più sicura e disinvolta è stata invece l’esecuzione della Gran Partita di Mozart, in cui una riaccesa e nuova sintonia tra direttore e musicisti ha portato sul palco la capacità di valorizzare ogni singolo strumento attraverso le più svariate tonalità che gli appartengono. La straordinaria e variegata gamma di suoni, dovuta anche dall’organico allargato al contrabbasso e ai corni di bassetto, a cui il compositore stesso era molto affezionato, ha permesso al pubblico di apprezzare fraseggi eseguiti con grande capacità non solo tecnica ma anche espressiva, soprattutto dal primo oboe Gianni Olivieri. La giovinezza degli esecutori, forse a volte colpevole di interventi troppo preminenti soprattutto nei bassi, ha saputo dare però valore aggiunto ai capolavori giovanili dei compositori in programma, trascinando la sala in un frizzante Rondò finale che ha anticipato l’applauso di un pubblico entusiasta ma la cui titubanza non ha concesso un bis.
Perché titubanza? Forse per uno Strauss non eseguito magistralmente o più probabilmente per l’approccio prevenuto di un pubblico affettuosamente tradizionale, non abituato però alle pulizie degli strumentisti a fiato. I soffi di un oboista fra i tasti e la condensa rovesciata dai corni, spesso nascoste dalle eleganti arcate degli archi, non sempre sono segno di poca eleganza ma esigenze del mestiere. Schellenberger ne sa qualcosa e forse vuole spiegarlo anche al pubblico della Filarmonica, quando affettuosamente stringe la mano al primo oboe e lo abbraccia con simpatia sulla scia degli applausi finali.
Alice Nardelli
Serata in crescendo e per moto retrogrado quella di venerdì alla Sala Filarmonica di Rovereto. Un’esecuzione partita in sordina ma destinata a suscitare entusiasmo (nel pubblico e nei musicisti) nella seconda parte del concerto. Un programma a ritroso, tutto tedesco, dagli esordi di un nemmeno ventenne Richard Strauss, alla maturità della musica cameristica di Mozart. Dopo vent’anni da primo oboe dei Berliner Philharmoniker, Hansjörg Schellenberger sale sul podio a dirigere i fiati dell’orchestra Haydn, un secondo ruolo che il poliedrico musicista pratica da anni e per il quale continua a raccogliere larghi consensi. Un’interpretazione del programma, la sua, che denuncia una spiccata familiarità del Maestro – non a caso fondatore dell’Haydn-Ensemble Berlin – col repertorio classico; un viaggio col quale, il direttore monacense sembra quasi guidare per mano il giovane Strauss alla ricerca dell’archetipo e delle sue origini musicali, come a coadiuvarlo nella riscoperta del paterno classicismo viennese.
Condivisibile nelle intenzioni, l’esecuzione non suscita però piena convinzione: due opere di rado praticate e poco conosciute al grande pubblico, la Serenata op. 7 e la Suite op. 4 si rivelano non essere nelle corde (anzi, nelle ance) neanche dei fiati della Haydn. Inizio dal passo un po’ incerto e stentato, sonorità più squillanti che “notturne”, ottoni prepotenti, suono eccessivo e poco morbido. Un battito veloce e rigoroso quello scelto da Schellenberger: tedesco; forse un po’ troppo algido e rigido, poco concede alle sfumature timbriche e alle dinamiche chiaroscurali; ed il lirismo ne rimane soffocato. Un’orchestra non ben assestata e poco in linea con la direzione; le parti sembrano continuamente scivolare dal gesto pur sicuro e netto del direttore (sarà per l’assenza della bacchetta?). Nonostante la brevità e la chiusura formale del brano, l’esecuzione sembra mancare di organicità. Il pensiero corre con paura ai sette movimenti della mozartiana Gran Partita in programma dopo la pausa.
Ma è solo questione di tempo, perché l’idea comune nasce e l’intesa cresce; la Gavotta della Suite, che rivela un’interpretazione particolarmente felice delle sezioni agili e brillanti, lascia ben ben sperare. Al ritorno in sala, le aspettative non vengono deluse; ha infatti tutt’altro piglio la Serenata K361; ancora uno stacco del tempo di esecuzione nettamente più veloce del consueto, ma il polimorfismo mozartiano non sembra risentirne: lo splendore sottile e trasparente dell’Adagio non ne rimane intaccato e le sezioni più mosse sembrano trarne giovamento. Sfida vinta e serata – fino ad ora un poco s-concertante – salvata. Ed è una bella vittoria, perché nonostante i multiformi sette movimenti della Serenata, l’ascolto si rivela unitario, divertente, giocoso e allo tempo stesso intensamente lirico come solo Mozart sa essere. E sembra di riviverlo quel brillante intrattenimento delle feste estive salisburghesi per le quali il brano fu probabilmente composto, non fosse per le continue – un po’ troppo plateali, forse – operazioni di pulizia degli strumenti che ci riportano all’umidità di questo odierno piovoso aprile. Solisti agili, precisi, finalmente convinti e convincenti (menzione d’onore all’ottimo primo oboe Gianni Olivieri, quanto mai trascinante ed entusiasta protagonista); impasto timbrico – arricchito ora dal corno di bassetto – ricco, variegato ma ben fuso. Non v’è dubbio che per Schellenberger e la Haydn, il vero classicismo sia quello mozartiano.
Cecilia Malatesta
V i è mai capitato da piccoli che, per farvi stare buoni, la mamma vi promettesse – sapendo di conquistarvi al volo – proprio quelle figurine che vi mancavano per completare l’album ma che poi, nonostante una condotta da parte vostra impeccabile, le suddette non siano mai arrivate? Se vi è capitato, conoscete bene il tipo di delusione che ne deriva. La stessa sensazione rimasta nell’aria al termine del concerto presentato venerdì sera a Rovereto, che non è riuscito a soddisfare appieno le aspettative create dagli interpreti – i fiati dell’Orchestra Haydn – ma soprattutto da Hansjörg Schellenberger, fino al 2001 primo oboista dei Berliner, direttore annunciato sul sito dell’Orchestra anche nella veste di musicista. Invece non ha suonato, ma si è concentrato sul solo ruolo di direttore senza bacchetta di un programma in realtà poco eseguito, tagliato su misura per la compagine artistica: la Serenata op. 7 e la Suite op. 4 di Richard Strauss e la Serenata Gran Partita di Mozart.
L’infantile delusione nata dal non poter ascoltare il maestro bavarese sarebbe subito svanita se il concerto non avesse rivelato altri problemi. Ma non ha contribuito alla buona riuscita dell’evento nemmeno l’elegante cornice in cui si è inserito: la piccola Sala della Filarmonica, che si apre nell’edificio della locale scuola elementare (felice il Trentino, che gode del valore dato Oltralpe alla presenza – anche in senso fisico – della musica nella scuola), non offre infatti ottimali condizioni acustiche. Tuttavia il pubblico, che occupava tutti i 200 posti e contava per la maggior parte teste canute, ha seguito le esecuzioni fino alla fine, con poche defezioni. Da parte sua l’ensemble, in principio una donna e dodici uomini, non ha dimostrato una buona tenuta d’insieme sin dagli attacchi, quasi sempre scivolati. La musica si è perciò srotolata per un’ora e mezzo senza mai affermarsi, un po’ troppo gridata e un po’ troppo poco variata, salvo approdare poi inaspettatamente ad alcuni momenti di puro lirismo dove si è osato perfino qualche mezzo piano: gli assolo di oboe del terzo movimento della Suite, per esempio, abilmente tratteggiati da Gianni Olivieri.
La generale piattezza interpretativa è stata variata anche da un breve dialogo tra flauto, clarinetto e corno della Romanza di Strauss, ed è così che ci accorgiamo che anche i clarinetti fanno parte dell’organico perchè per tutto il resto del tempo i suoni emessi da Stefano Ricci e Andrea Brazzo apparivano all’orecchio del tutto inesistenti. Per tirare un bilancio finale, ne è uscito decisamente meglio Mozart rispetto a Strauss; nella seconda parte del concerto, per la quale Schellenberger ha rinunciato anche alla partitura, l’organico rinnovato (la Gran Partita prevede un contrabbasso e i corni di bassetto, assenti in Strauss, e rinuncia al secondo flauto, per cui l’ensemble si è ritrovato essere tutto maschile) ha riconquistato un po’ di unità e brillantezza, senza però regalare una performance straordinaria che, difatti, non strappa il bis. Ancora una volta spiccava su tutti, perfettamente in sintonia con il secondo oboe Fabio Righetti, Gianni Olivieri, che ha raggiunto l’apice nel Rondò mozartiano. A dire il vero, il musicista ha catturato l’attenzione anche per le ripetute cure rivolte al suo strumento, a lungo pulito in perfetta sincronia con la musica quasi fosse prescritto in partitura. E al termine del concerto, anche se inconsapevole di essere stato l’attrazione della serata, spartisce con il direttore l’applauso finale uscendo erroneamente di scena insieme a lui e rientrando solo, da vero protagonista.
Maria Stella Fabbiano
Glenn Gould, anni or sono, aveva profetizzato la scomparsa del concerto dal vivo. All’apice della sua carriera si era ritirato dalle scene e aveva deciso di affidare solamente alla sala di registrazione le sue esecuzioni memorabili di Bach. Aveva forse ragione? Se ne può dubitare. È pur vero, tuttavia, che in un mondo affollato da sterminate discoteche digitali siamo sempre meno abituati ad ascoltare la musica nella sua effimera e preziosa dimensione concertistica. Ci dimentichiamo dei musicisti intenti a domare i propri strumenti; di un pubblico, magari raffreddato, che può compromettere con colpetti di tosse il nostro movimento preferito. Ma soprattutto tendiamo a scordarci del direttore, che con il suo gesto autorevole può tenere salde le redini dell’orchestra. Ed era proprio lui l’attrazione dell’ultimo concerto dell’Associazione Filarmonica di Rovereto: Hansjörg Schellenberger. Storico oboista dei Berliner Philharmoniker, si è presentato nell’ormai consueta veste di direttore insieme ai suoi compagni d’avventura: i Fiati dell’Orchestra Haydn. Programma accattivante, sulla carta. Pagine poco conosciute del non ancora vent’enne Richard Strauss accanto alla celeberrima «Gran Partita» K. 361 di un Mozart sicuramente più maturo, ma altrettanto giovane, vitale e spensierato. Un concerto sospeso nel tempo. Due “classici” e due generazioni di esecutori guidati dalla solida mano, benché sprovvista di bacchetta, di Schellenberger. Grandi aspettative rispettate? Verrebbe da rispondere: solo in parte. Il concerto è stato infatti discontinuo, con un inizio un po’ incerto, dominato dall’esuberanza dei corni spesso prevaricatori, a discapito dei colleghi più maturi e composti dei legni. Dopo le incertezze della Serenata op. 7, sacrificata da una gestione poco equilibrata delle densità timbriche cesellate da Strauss, lentamente l’orchestra ha trovato la strada giusta.
Sicuramente più convincente è apparsa la prova della Suite op. 4, grazie anche a un’energia ritmica che si è mostrata particolarmente congeniale alla compagine. Dopo la febbricitante Fuga conclusiva, un momento di respiro per l’intervallo. Facce dubbiose tra il pubblico. Forse per i brani mai ascoltati. O forse per le funamboliche prove del primo oboe, spesso impegnato a pulire lo strumento, nelle brevi battute di riposo tra un ingresso e l’altro. Lo spettatore più severo potrebbe storcere il naso, distratto o infastidito da tutto quel trambusto. Non siamo però in sala di registrazione e lo strumentista deve saper reagire prontamente alle bizzarrie del proprio strumento. Non quindi una nota stonata. Anzi. L’ottimo Gianni Olivieri ha regalato una prova di grande intensità, con il suo apice proprio nella seconda parte del concerto. Schellenberger e i Fiati della Haydn si sono rifatti con un’esecuzione briosa e leggera della Serenata di Mozart. Lo stacco dei tempi febbrili e il continuo dialogo tra le parti hanno catturato l’attenzione. Certo, si sarebbe potuto sperare in un fraseggio più sinuoso e avvolgente, soprattutto nei movimenti lenti, ma il Rondo finale è stato travolgente in tutta la sua esuberanza. Grandi applausi e sincero apprezzamento tributato a Olivieri, anche da parte del direttore. Qualche timida uscita e il concerto si è concluso in fretta, senza bis, a causa forse di un programma non del tutto convincente. Resta comunque una proposta interessante. E soprattutto resta il fascino di un’esecuzione con musicisti in carne e ossa, in grado di comunicare, anche con le imperfezioni del caso, il fascino tutto umano di una performance dal vivo.
Marco Cosci
Orecchie assuefatte a esecuzioni perfette e viziate dalla tecnologia sono rimaste deluse dall’ascolto dei fiati della Haydn l’altra sera. Questo è il prezzo da pagare per chi si prende la briga di andare a concerto al giorno d’oggi: occorre respirare sopra la musica, scovare i maestri dietro l’hic et nunc degli esecutori che si mettono in gioco e del pubblico troppo attento a ogni pagliuzza.
Nella piccola sala da poco più di duecentocinquanta posti, tante le teste bianche, pochi i giovani – tra il pubblico i partecipanti alla seconda edizione del corso di critica e giornalismo musicale Parola all’ascolto organizzato dal Festival Mozart di Rovereto, sul palco gli esuberanti cornisti. Qualcuno come al solito disturbava; qualche sedia è rimasta vuota. Fuori un pullman era pronto per portare in salvo gli ascoltatori scontenti. Pochi anche i Roveretani. Niente quarto d’ora di riguardo per i ritardatari: Schellenberger ha iniziato a dirigire i musicisti solo qualche minuto dopo l’ora prevista, da buon tedesco. Gli studenti del corso erano in tensione: già dalle prime note tentavano di cogliere il minimo difetto con le orecchie puntate. Mai prima di allora avevano partecipato a un concerto sotto una pressione del genere. Ma l’orecchio del critico, si sa, è sempre storpiato, e i giovani sono i più spietati di tutti. Quasi dimenticano il senso di un concerto, cioè quello archetipico della catarsi e del piacere, come l’avevano inteso i Greci a loro tempo.
Molti hanno storto il naso alle esecuzioni di Strauss: insieme ambiguo, attacchi imprecisi, agogica piatta, poco polso da parte di un direttore che vanta collaborazioni con importanti orchestre in tutto il mondo. Strauss si è comunque rivelato all’ascoltatore benevolo e ha preso forma tra gli spiragli della contingenza: passeggiate soleggiate e spensierate nella Serenade, luoghi bui e discordanti ma più densi nella Suite, dove sono apparsi personaggi solitari a dialogare con l’insieme. Dopo l’intervallo, la Serenata “Gran Partita” ha visto mutare alcuni esecutori e la fortuna della serata. La resa dell’impianto musicale calibrato tra i tempi lenti e vivaci è stata pacifica come un compito di matematica spiegato dal maestro Mozart all’allievo Richard senza bisogno del libro. Tutto al suo posto, felicemente confortante: insomma, un rilassamento viscerale dopo le concentrazioni scomode dell’armonia di Strauss. I fiati si sono finalmente fusi in un unico suono guidati da quel direttore che ballava sotto lo sguardo di Zandonai. L’ordine del programma è stato miracolosamente indovinato: prima i pezzi più pericolosi, poi il pezzo forte, quello conosciuto così bene da essere diretto a memoria, quello che ha fatto la tradizione della musica per ensemble di fiati, quello che ha salvato il concerto e dato lezione a Strauss.
Tutto è finito presto, a mezza serata, senza bis, di fretta; anche il maestro sembrava impaziente quando è stato scorto nel foyer dopo soli due minuti dagli ultimi applausi. Anche se le aspettative si sono sgonfiate e la performance è rimasta in ombra, dobbiamo sforzarci di accoglierla come un fatto d’arte autentico, irripetibile e liberatorio. E per quanto approssimativo possa apparire questo risultato e quante imperfezioni uno possa aver registrato durante l’esecuzione, ebbene, questo è il vero risultato che misura un artista. Eppoi, non capita spesso di essere recensiti da trenta mangiatori di musicisti contemporaneamente. Non siamo su YouTube a cliccare qua e là alla ricerca del video dal suono impeccabile per taggarlo “mi piace”: più che di arte da reality, siamo bisogonosi di arte reale.
Veronica Zanoni
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Hansjörg Schellenberger (Monaco di Baviera, 13 febbraio 1948) è un oboista tedesco. Schellenberger è cresciuto a Saal an der Donau, vicino a Ratisbona, dove ha conseguito il suo bakkalaureus (equivalente all’esame di maturità) nel 1967. A soli sei anni d’età suonava già il flauto dolce; a tredici iniziò a prendere lezioni di oboe. Nel 1965, vinse il concorso della Jugend musiziert. Dal 1967 si concentrò sullo studio dell’oboe e della direzione d’orchestra alla Musikhochschule di Monaco, così come della matematica e dell’informatica all’Università Tecnica di Monaco. Schellenberger è fondatore dell’ensemble Musik unserer Zeit (musica del nostro tempo), che gli ha permesso di familiarizzare con la musica contemporanea. Nel 1971, un anno dopo aver concluso gli studi, entrò nell’Orchestra sinfonica della Radio di Colonia come oboe solista sostituto; dal 1975 ha occupato tale posizione come titolare.
Ha suonato regolarmente con l’ Orchestra Filarmonica di Berlino durante il 1977 sotto la direzione di Herbert von Karajan. Non più di tre anni dopo, nel 1980, è stato nominato oboe solista della prestigiosa orchestra berlinese.Per lunghi anni si è occupato anche di direzione d’orchestra.Schellenberger ha insegnato alla Scuola superiore delle Arti dal 1981 al 1991. Inoltre, si è dimostrato sempre più attivo come solista e nell’ambito della musica da camera. È stato membro dei Bläser der Berliner Philharmoniker, dell’ensemble Wien-Berlin nonché fondatore e leader dell’insieme Haydn di Berlino. Si è esibito in duo con il pianista Rudolf Koenen, il flautista Wolfgang Schulz e con l’arpista Margit-Anna Süß. Solista molto apprezzato, ha suonato con parecchie orchestre sotto la guida di direttori famosi, come Claudio Abbado, Carlo Maria Giulini, Riccardo Muti e molti altri. Schellenberger ha insegnato pure in Italia, tenendo lezioni di perfezionamento (Master Class) prima alla ‘’Scuola di Musica di Fiesole’’ (1986) e poi all’Accademia Chigiana di Siena (1989).Dal 2001 è professore alla Escuela Superior de Música Reina Sofia.
Schellenberger ha registrato con Denon, DGG, Orfeo, Sony Classical e altre etichette. A metà degli anni 90 ha fondato il proprio marchio: Campanella-Musica.Uno dei primi CD prodotti dalla propria casa discografica ha vinto il Premio del Disco (Schallplattenpreis) in Germania.Da quando ha lasciato la Filarmonica di Berlino, nel 2001, Schellenberger si dedica alla direzione d’orchestra riscuotendo regolarmente successi sul piano internazionale. Ha diretto molte orchestre, tra le quali l’Orchestra Santa Cecilia al Teatro alla Scala di Milano, l’Orchestra di Roma, l’Orchestra Sinfonica di Gerusalemme.Schellenberger vive con la moglie e i cinque figli in Baviera.
tratto da Wikipedia
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