Che facciano ridere, è fuori discussione: il talento comico di Igudesman & Joo, al secolo il violinista Aleksey Igudesman e il pianista Hyung-ki Joo, è testimoniato dall’agguerritissimo seguito di fan, dai cliccatissimi video su YouTube, dall’inesausta ilarità che suscitano i loro tormentoni, infilata di sketch del fortunato “A little nightmare music”, show di cabaret musicale che gira il mondo dal 2003.
Otto anni sono tanti, ma con qualche sorpresa, qualche variazione qua e là, lo show continua a mietere successi. Dunque, fanno ridere. La comicità musicale si basa su pochi efficaci meccanismi, sostenuti dal talento naturale dei due, dalla loro capacità di tenere la scena, da quel “finto serio” che, se manca, vanifica qualsiasi barzelletta. Via dunque alle citazioni di temi noti, ma ovviamente in contesti paradossali: la Sinfonia 40 di Mozart e il tema di James Bond (con inserto di Love story), la Marcia alla turca trasformata in scatenata musica yiddish, I will Survive condito di Bach, Rocky, Autumn Leaves, ed altro ancora: è il meccanismo del contrasto, dell’aspettativa evidente che dietro l’angolo riserva la sorpresa strappa-risate e strappa-applausi. Ovviamente, con la necessaria complicità del pubblico: la componente comica più squisitamente musicale delle performance non si coglierebbe senza che i temi lanciati a raffica e la conseguente frizione che ne deriva non fossero noti al pubblico, in quella dinamica di intesa che ben chiosava Bergson: «Il riso cela sempre un pensiero nascosto di intesa, direi quasi di complicità, con altre persone che ridono». Citazioni, contrasto, infine parodia dei cliché che accompagnano nell’immaginario collettivo la figura del musicista: qui il messaggio comico è a più ampio raggio, con la rappresentazione di un virtuosismo a due volti, ora montagna da scalare con ben simulata fatica, ora forza che possiede suo malgrado l’esecutore, portandolo ad acrobazie che lasciano basito lui per primo. Il resto, è di contorno, tanto per tenere vivo il ritmo: accordature difficili, infiniti preparativi del pianista, cadenze che non finiscono mai.
Si ride, dunque, in modo disimpegnato, e con intelligenza.
Ma se c’è una cosa che stona, e su cui non siamo d’accordo, è la voce che corre veloce, prima e dopo lo spettacolo, ovvero che Igudesman & Joo avvicinino alla musica classica. È questa una frase che si sente ripetere fin troppo, e nei contesti sbagliati: lo si disse, a suo tempo, del film Shine, che portò a una vendita straordinaria del Terzo di Rachmaninov (ma per lo più nell’edizione discografica della colonna sonora). Qualche mese, e l’innamoramento superficiale finì; e la stragrande maggioranza di chi aveva comprato il cd non si avventurò più tra gli scaffali della classica. Così come non aveva fatto prima.
Lo dice, oggi, chi difende il più famoso fenomeno di marketing pianistico, incoerenza su cui sono state spese fin troppe parole, a cui non aggiungeremo l’ovvio.
Igudesman & Joo avvicinano alla classica? Secondo noi no. Piacciono probabilmente a chi la classica già la ascolta, proprio per quella necessaria complicità che permette di apprezzarne più compiutamente gli sketch. Ma chi si avvicini a loro per la prima volta non resterà necessariamente innamorato della versione “giusta” della Sinfonia 40, dopo aver riso per gli esilaranti contrasti. O forse sì. Ma non immaginiamo le code ai negozi di cd, dopo uno spettacolo del duo. Potrebbe fiondarsi a comprare l’opera omnia di Leopardi uno spettatore che abbia assistito ad uno spettacolo comico in cui un omino gobbo mescola “L’Infinito” con battute di cabaret?
Lasciamo a Igudesman & Joo ciò che di Igudesman & Joo: sono bravi, fanno ridere. Ma alla classica, pensiamo, ci si avvicina suonando, ascoltando, studiando, essendo immersi in un ambiente che la classica la sostiene, investendoci, credendoci, individuandola come un valore culturale imprescindibile.
E se poi ci si vuole ridere su, ben venga.
Emilia Campagna