Prendere a prestito le parole di Italo Calvino per descrivere l’interpretazione del duo al Teatro Manzoni
di Mariateresa Storino
SCRIVERE DI UN CONCERTO è compito sempre difficile, ma talvolta può perfino diventare arduo quando la musica che si è ascoltata resta sospesa nella memoria, si insinua nelle fitte trame della mente, lasciando interrogativi ai quali è impossibile trovare una risposta univoca. Così è stato il 19 gennaio con il duo Leonidas Kavakos (violino) ed Enrico Pace (pianoforte) sul palco del Teatro Manzoni di Bologna per la stagione di Musica Insieme. Già il programma preannunciava una ricchezza d’intenti: da Schubert a Poulenc, passando da Fauré e Stravinskij. Virtuosismo, accuratezza filologica, impeccabilità sonora appartengono – indiscutibilmente – a Kavakos e Pace; si potrebbe ritenere la loro presenza ovvia in artisti della loro statura, al punto da non richiedere alcuna riga di attenzione.
Che cosa dunque ha catturato gli ascoltatori presenti? La risposta giunge dall’arte della parola, dai valori che Italo Calvino aveva assunto a tema delle sue Lezioni americane per discutere di letteratura: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità.
La “leggerezza” è il fulcro dell’interpretazione della Sonata in la maggiore D574 (1817) di Schubert, una sonata lontano dalle frange cupe del Wanderer, più affine allo spirito Biedermeier. In uno spettro dinamico ridotto, Pace rievoca il suono del fortepiano; la caratterizzazione ritmica è incisiva, senza mai turbare il canto. Si è in presenza di un colloquio familiare, spensierato, intimo, come si immagina avvenisse nei salotti di inizio Ottocento. Anche i momenti in modalità minore non superano mai il tono della tenera malinconia.
La fiaba noir di Andersen, posta ad ispirazione del balletto Le baisier de la fèe da cui Stravinskij trasse il Divertimento per violino e pianoforte (1934), reca tracce della “rapidità”, valore che Calvino descrive partendo dalla leggenda di Carlo Magno per arrivare alla storia del granchio dipinto in un sol gesto da Chuang-Tzu. Il Divertimento di Stravinskij è espressione di un Romanticismo che ha ormai risolto la sua Sehnsucht in un fluttuare investito da tratti terreni, coagulato in una gestualità sonoro-musicale immediata ed efficace. Come non riconoscere nell’interpretazione di Kavakos e Pace anche “l’esattezza” e la “visibilità”!
La comunione d’intenti tra i due artisti, inafferrabile ma assolutamente percepibile, raggiunge l’acme nella Sonata op. 119 di Poulenc (1943) e nella Sonata op. 13 di Fauré (1876). Marcel Proust parlava di “pericolosa ebbrezza” riferendosi alla chanson di Fauré Le parfum impérissable, di un’intensità emotiva che quasi spaventava. Così è il pianoforte di Pace, che riesce a recidere ogni ritrosia espressiva di Kavakos catturandolo in un’invisibile catena di corrispondenze: il secondo movimento della Sonata di Faurè diventa un momento di autentica poesia sonora. Tutto dopo aver ascoltato distintamente e compreso le specificità delle scelte linguistiche di Poulenc, il gioco di registri e armonici tra violino e pianoforte che concretizzano l’idea di “una scienza fatta suono”.
Non resta che la “molteplicità”: sostanza inscindibile dall’interpretazione musicale.