di Monika Prusak
Dopo oltre sessanta anni di assenza nel capoluogo siciliano Il Pirata belliniano torna sul palcoscenico del Teatro Massimo con regìa e scene di Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi. L’essere stranieri, sentirsi estranei alla propria vita, sono temi che muovono la ricerca del duo registico siciliano.
Di Gangi e Giacomazzi pongono al centro del loro lavoro l’amore come motore creatore dell’idea belliniana, sospeso tra Eros e Psiche, con la tempesta come metafora dello Sturm und Drang preromantico. I due registi sono affiancati da Isabella Rizza ai costumi e Luigi Biondi alle luci con rispettive assistenti Chiara Mirabella e Tatiana Lerario. A dirigere l’Orchestra del Teatro Massimo è Francesco Lanzillotta, mentre il Coro è guidato da Ciro Visco.
Lanzillotta inizia da un’Ouverture leggera ed elegante, mentre il sipario si riempie di didascalie che raccontano l’antefatto della vicenda a modo del cinema muto. Una bella trovata seguita dalla scena del Coro di Pescatori e Pescatrici alle prese con una tempesta accompagnata da un gioco di luci colorate e da un’orchestra eccellente di Lanzillotta. Il coro canta in mascherina o con la visiera, un elemento necessario per via della pandemia, che purtroppo rende poco chiaro il testo cantato. Ma quello che colpisce di più è l’assoluta staticità della scena, che caratterizzerà l’intera rappresentazione. L’unico elemento mobile, una prua gigante al centro del palcoscenico, consente all’azione di proseguire.
Tra i protagonisti spicca Roberta Mantegna, una degna interprete di Imogene, dotata di una vocalità belcantistica vellutata e convincente, che sorprende soprattutto nel registro acuto. Tuttavia, il suo personaggio non subisce particolari sviluppi durante l’opera. La cantante rimane coerente alla sua affabilità fino alla fine, quando riappare in scena ormai fuori di senno, ma l’azione non riesce a raggiungere il culmine lasciando lo spettatore inappagato.
Celso Albelo è un Gualtiero perfetto dal punto di vista scenico: gli intensi dialoghi con l’amante si alternano agli scatti d’ira e a quelli di passione. Ciò nonostante la sua voce non esalta, appare stanca, con intonazione troppo sofferta e imprecisa. I suo rivale, Vittorio Prato, è un Ernesto affascinante ma debole in scena: la sua vocalità grave e profonda è in contrasto con una presenza scenica giovane e troppo snella.
L’Orchestra del Teatro Massimo si lascia guidare dalla bacchetta distinta ed esigente di Lanzillotta, che dipinge l’atmosfera e le scene del Pirata in maniera minuziosa e ricca di sfumature. Una nota va alla sezione dei fiati che nonostante le barriere plexiglas ha dato una prova di grande affiatamento. Purtroppo, lo spettacolo non sazia le aspettative di un teatro belliniano “svecchiato” e originale. L’idea del duo Di Gangi-Giacomazzi è interessante, ma rimane incompiuta per via della staticità eccessiva del movimento scenico dei solisti e del coro. In questo caso e con questo cast si sarebbe potuto osare di più, dando un deciso ringiovanimento alla drammaturgia belliniana.