Il nuovo tour italiano delle due interpreti partirà da Genova e toccherà varie città italiane: Milano (per la Società del Quartetto), Mantova, Firenze, Vicenza, Torino. Di questo ed altro abbiamo parlato con la pianista nell’intervista rilasciata al Corriere Musicale
Intervista di Simeone Pozzini foto Nacho Carretero
ERA NELLA SUA CASA PARIGINA la pianista Katia Labèque nei giorni di Charlie Hebdo: «È stato terribile, terribile. Veramente uno choc, anche perché Charlie Hebdo è stato sempre nella vita di tutti. Erano persone veramente gentili, non sono stati offensivi o violenti». Raggiunta telefonicamente dal Corriere Musicale racconta l’episodio con estrema amarezza, con il suo tono di voce fermo e dolce. «È una cosa difficile da capire. Un atto di barbarie totale». Katia Labèque è musicista di solida formazione accademica, trasversale nei repertori e nelle aperture mentali, per questo conosciuta anche negli ambienti musicali dove non si indossa il frac: la si può ascoltare in duo con Sting oppure ai Proms con la sorella Marielle (se ve ne fosse bisogno: il Duo Labèque), con la quale ha suonato nelle sale di tutto il mondo, e per il quale Philip Glass, ci racconta, sta scrivendo un concerto per due pianoforti. In Italia potremo riscoltarla a breve nel collaudato duo con un’altra grande interprete, la violinista Viktoria Mullova: il nuovo mini tour di gennaio toccherà Genova (il 19), Milano (il 20), Mantova (il 22), Firenze (il 24), Vicenza (il 27), Torino (il 28), oppure in duo con Marielle a Savona (il 31).
Lei generalmente si interessa alla politica e all’attualità?
«Seguo come posso: sul computer leggo il giornale, viaggio molto. Certo è difficile oggi non essere informata. Voglio dire che con tutte le possibilità che ci sono… Non so però se è sempre una cosa positiva vedere l’attualità in tempo reale, infatti a Parigi hanno chiesto ai giornalisti di non seguire la vicenda in tempo diretto, poiché non era una cosa ottimale per inseguire i terroristi.»
Veniamo ai concerti che terrete in Italia. Come avete compilato questo programma?
«L’idea era di fare un programma nuovo, perché con Viktoria avevamo già suonato in tante città in Italia con un altro programma. Eravamo d’accordo su Mozart, ma questa sonata l’ha scelta lei. A me piacciono tutte e c’erano tante sonate che volevo interpretare e per me era difficile prendere una decisione; ho lasciato quindi che fosse lei a scegliere. Su Schumann eravamo d’accordo da tempo, questa [op.105, ndr] è una sonata bellissima. L’unico pezzo che abbiamo già suonato insieme è la Sonata di Ravel. Volevamo mettere sulla bilancia i compositori che avevano tanto in comune con la musica francese, da Arvo Pärt a Takemitsu con il suo amore per Debussy e Messiaen. Pensiamo che ci sia un legame importante tra Distance de Fée e la Sonata di Ravel.»
In che modo lavorate insieme sulle composizioni? Più istinto o analisi? Discutete molto?
«Con Viktoria non discutiamo molto. Penso che le basi della musica barocca le abbiamo tutte e due. Per Mozart io ho lavorato tanto con mia sorella, con il Giardino Armonico, con Reinhard Goebel, con tanti gruppi barocchi, Venice Baroque. Allora penso che un linguaggio comune su questo tipo di musica già l’abbiamo. Certo che sulle basi siamo d’accordo, no, quindi non discutiamo tanto.»
Recital è l’unica registrazione che avete fatto insieme.
«Sì, è l’unico disco.»
Ne avete in programma altre?
«Sicuramente. Dobbiamo trovare il tempo, perché in questo momento io ho molte cose da fare con mia sorella. Per la prima volta nella nostra carriera suoniamo la Sagra della primavera [lo dice in italiano, ndr] a fine mese a Torino nella scuola di Alessandro Baricco e poi andremo a Savona. Questa enorme, fantastica, geniale composizione suona meravigliosamente bene per due pianoforti, ma c’è tanto lavoro da fare! Poi lavoreremo su un balletto con sette breakdancer con la coreografia di Yaman Okur, alla nuova Philharmonie di Parigi: è un testo scritto appositamente per noi da David Chalmin per due pianoforti, elettronica, chitarra, batteria e richiede un enorme lavoro di prove con i ballerini. E poi finalmente andremo a Los Angeles per l’esecuzione del primo concerto per due pianoforti di Philip Glass, che sta scrivendo per noi.»
Come avviene il lavoro con Philip Glass?
«Le pagine arrivano giorno per giorno con internet! Quindi c’è tanto tanto lavoro, anche per questo non so se immediatamente avremo tempo con Viktoria di entrare in studio di registrazione. Sicuramente lo faremo, quando non lo sappiamo ancora.»
Il Duo Labèque, ed anche lei singolarmente, ha esplorato la contemporaneità musicale in tutti i suoi generi. Cosa definisce “moderna” una composizione? I suoni, lo stile, la forma, la comunicativa?
«È molto difficile oggi parlare di modernità nell’assoluto, perché ha tanto a che vedere con la nostra cultura. Ormai non è più possibile dire che la musica definita contemporanea è la più assoluta. È veramente difficile dare una definizione in un momento nel quale la musica è esplosa in tante direzioni differenti. Non sono sicura di poter dare una definizione di moderno. Secondo me ha tanto a che vedere con la nostra epoca. Può essere che oggi certi compositori… Charles Ives per me è sempre un compositore molto moderno. Moondog è di una modernità incredibile: era un barbone che viveva per strada a New York e ha ispirato tanti, tutta la musica minimalista degli anni Sessanta, sia Philip Glass che Steve Reich, si sono appoggiati a lui. E ancora sembra ‘fuori tempo’: ha prefigurato il mondo del rock e del pop. Io trovo la Sagra della Primavera ancora di una modernità folgorante e ancora difficile da capire la sua ‘violenza’, la forza di questa musica che per me è sempre attuale.»
Olivier Messiaen ha assistito alla vostra registrazione di Visions de l’Amen, che ricordo conserva?
«Non è che ha solo assistito. È lui che l’ha organizzata. Noi (con Marielle) eravamo in classe a suonare le sue Visions de l’Amen. Qualcuno ha bussato alla porta e siamo andate ad aprire. Eravamo ragazzine al Conservatorio di Parigi, avevamo quindici o diciassette anni. Era Messiaen e chiese: “Posso ascoltare chi suona la mia musica?”. Allora ci ha ascoltate e alla fine ha detto: “Devo fare una registrazione per Erato, non posso più suonare perché è troppo difficile per me, ma vi chiedo di suonarlo e di seguire le mie indicazioni”. Noi eravamo felicissime. Immaginate come se Mozart bussasse alla porta e ti dicesse Ok, vieni in studio di registrazione con me e ti dico che fare. Sarebbe un sogno. Abbiamo iniziato così. Anche nella mente delle persone era molto forte l’immagine di queste due ragazzine che suonavano Messiaen a memoria e Luciano Berio, Boulez, Stockhausen, Ligeti. Era molto forte.»
Facciamo un salto di trent’anni e arriviamo alla sua partecipazione nel disco Mediterranean di John McLaughlin.
«Adoro la musica di John McLaughlin, ma per me è un tempo veramente passato: non sono una musicista di jazz, mi mancano tutte le basi, la cultura e la disciplina. E non voglio fare finta di improvvisare. Improvvisare nel jazz richiede tutta una educazione musicale, come nel flamenco e nella musica indiana. Cosa che non avviene nella nostra educazione. Diciamo che per il momento sono molto più nella musica rock o elettronica o sperimentale o minimalista che nella musica jazz. Non vuol dire che non la amo. La amo tanto, ma per suonare con swing e bebop… è troppo difficile! Quello lo fanno loro che hanno questa cultura. Già nei lavori più tardi di Miles Davis o In A Silent Way, nei quali si utilizza la modalità, questa è più facile da seguire. Ma i cambi di accordi e le frasi nel Bebop sono molto difficili.»
In ogni caso è un disco molto riuscito.
«Mi ha formato tanto suonare con John e conoscere tutti i suoi amici: Miles Davis, Herbie Hancock, sono stata super fortunata certamente. Questo lo apprezzo ancora e mi ha aperto a tante musiche. Non ho la pretesa di dire che suono jazz, quella è un’altra cosa.»
Nel sito internet del Duo Labèque è inserito anche il brano Piramid Song dei Radiohead, da lei intepretato con David Chalmin…
«….questo è il gruppo che mi ispira di più in questo momento. Per me loro hanno un rapporto ideale tra la nostra cultura classica e la modernità. È un gruppo che attraverso gli anni si è rinnovato e musicisti come Thom Yorke e Jonny Greenwood per me sono veramente due geni.»
…e la sua collaborazione con Sting nel brano Shape of My Heart. Sia in Piramid Song che in quest’ultimo il pianoforte è usato come luogo dell’introspezione e dell’accompagnamento, se vuole della ‘tradizione’. È così oppure semplicemente le piacciono i brani malinconici?
«Mi piace tanto questa vena malinconica, sì è vero. Forse perché ho suonato tanto nella mia vita le pagine virtuosistiche che non ho più niente da provare. A me sorprende sempre la bellezza di Ma mère l’oye di Ravel, che fa con quattro note il maximum di musica. Questo mi stupisce.»
L’ascoltatore ideale per un concerto?
«Quello che non ha pregiudizi, quello che sa ascoltare qualunque cosa, che non è troppo attaccato alla sua cultura di origine.»
Siete veramente professionali e di notevole gusto.
Trattazioni di significativo livello.
Ottimo gusto.
Complimenti!