di Francesco Lora
Con regìa di Emma Dante, scene di Carmine Maringola, costumi di Vanessa Sannino, luci di Cristian Zucaro e coreografie di Manuela Lo Sicco, La Cenerentola di Gioachino Rossini era stata allestita al Teatro dell’Opera di Roma nel 2016.
Dopo essere stata lì ripresa nel 2019, nel 2020 doveva passare al Comunale di Bologna, ma la pandemia l’ha fermata durante le prove. Le quattro recite felsinee degli scorsi 16-23 dicembre sono dunque state un recupero: nei limiti pratici di esso, la lettura teatrale ha soprattutto scoperto quelli artistici. Il paziente lavoro con gli attori, che sempre dovrebbe avere priorità, è infatti qui rimpiazzato con i movimenti di una squadra di figuranti, che agiscono alla maniera di surreali automi e attuano così – parola della regista – i lati inquietanti della fiaba. Se tuttavia i contagi bloccano a casa i figuranti – imprevisto all’ultima recita – il pretesto esegetico crolla a terra, il testo non ha forza di risollevarsi e lo spettacolo si trascina nella noia. Invano si confida nell’intervento salvifico di chi pure ha già diretto, nel 2019, un Viaggio a Reims giovanile al Rossini Opera Festival di Pesaro: Nikolas Nägele, come concertatore, chiede assai poco all’orchestra, al coro e ai cantanti, e riscuote ancora meno nei risultati, fatti perlopiù di un incedere soffuso e senza nerbo; ammette maldestri tagli nei recitativi secchi, e causa così lo sgretolamento dei versi sciolti, delle rime e del chiaro senso; dà il meglio di sé, invece, nello scrivere, suggerire o coordinare variazioni vocali, notevoli per gusto e scaltrezza.
Come già era accaduto nel Barbiere di Siviglia dell’ultimo autunno alla Scala di Milano, un veterano – il medesimo veterano – mette all’angolo il resto della compagnia di canto: Antonino Siragusa, nei panni di Don Ramiro non meno che in quelli del Conte d’Almaviva, intona, recita, ricama, fiorisce e squilla oggi con la stessa comunicativa, facilità e freschezza di vent’anni fa, e anzi con tanto maggiore esperienza, disinvoltura e sottile ironia. L’Angelina del caso è Chiara Amarù, che della protagonista fa una ragazzotta con i piedi per terra, non fascinosa nel porgere ma spiccia e genuina, nonché ferrata a dovere sull’esigente versante virtuosistico. Tra una recita e l’altra, la parte di Dandini passa da un mattatore della scena come Nicola Alaimo a un interprete meno esuberante ma più cordiale e simpatico, Andrea Vincenzo Bonsignore, mentre da Vincenzo Taormina viene un Don Magnifico più caricaturale che caratterizzato, e da Gabriele Sagona un Alidoro capace di districarsi nell’insidiosa aria verso la metà dell’atto I. Funzionali Sonia Ciani e Aloisa Aisemberg come sorellastre Clorinda e Tisbe. Qualcuno taccia frattanto di scarso progetto culturale la nuova stagione, lirica e sinfonica, che il Comunale sta per inaugurare tra gennaio e febbraio: sciocchezze, giacché in essa si farà miglior conoscenza del nuovo direttore musicale, Oksana Lyniv, e una bella, ricca, varia serie di titoli del grande repertorio esibirà quella che è forse la più intrigante collezione di cantanti illustri nella programmazione italiana del 2022.