Policroma rappresentazione con la regìa di Hugo de Hana e la direzione musicale in crescendo (ma fiacca) di Christoph Campestrini
di Attilio Piovano
FELICE CONCLUSIONE DI STAGIONE, al Regio di Torino, la sera dello scorso 27 giugno nel segno dell’operetta. E si trattava di uno dei titoli più noti ed amati dal pubblico. Pur tuttavia – occorre ammetterlo in tutta franchezza e con sano senso critico – l’operetta è un genere ormai ‘cotto’ e ‘decotto’. E se il melodramma, l’opera, insomma, purché trattata con le dovute attenzioni, gode tuttora di ottima salute, sopporta bene attualizzazioni registiche talora azzardate e quant’altro, l’operetta al contrario stenta alquanto a catturare il pubblico, specie nelle nostre contrade dove di fatto non è mai stata accettata in toto. E allora, anche in presenza di capolavori assoluti – è il caso della Vedova allegra dello scaltrito ed esperto Franz Lehár – l’accoglienza è tiepida ed il successo misurato. Segno che ‘il difetto sta nel manico’. Beninteso, il Regio ha fatto le cose in grande puntando su uno spettacolo di forte impatto visivo, davvero ineccepibile sotto tal profilo, con la regia, le belle scene e i fantasiosi, coerenti costumi primo Novecento di Hugo de Hana; un’ambientazione moderna, sì, ma con gusto, giocata su specchi e trasparenze di cristalli, a ricreare, con la rotazione, ambienti ora separati ora correlati, per la girandola degli equivoci e dei colpi di scena; colori ora blu ora sgargianti, un second’atto dai lampioncini pseudo giapponesi, in realtà per la “festa in costume pontevedrino” presso l’abitazione di Hanna Glawari, citazioni Liberty e un finale irrorato di luminescenti scritte al neon ad evocare Maxim e Moulin Rouge, infine una pioggia di coriandoli, stelle filanti e evocativi feux d’artifice (di notevole effetto e ben realizzate le coreografie di Leda Lojodice). E pur tuttavia la noia e il senso di saturazione erano palpabili nel primo atto. Ahimé non bastano un po’ di battute sul governo Renzi e troppe parole in piemontese (con un fare un po’ retrò, e cadute di gusto francamente da avanspettacolo; una sorta di captatio benevolentiae che fa torto all’intelligenza e finezza del pubblico subalpino, revisione del testo ad opera di de Hana stesso che in tal senso ha esagerato), il tutto per attualizzare un genere oggidì prossimo al collasso, se non condannato a morte certa. E se a Vienna – per dire – a tenerlo in vita (e nemmeno troppo artificiosamente) provvede una consolidata tradizione (entro la quale ha ragione d’essere anche la faccenda delle battute ‘aggiornate’) da noi non è affatto così.
La compagnia arruolata per l’occasione ha fatto del suo meglio, a partire dal mattatore Antonello Costa, baritono nel ruolo (più attoriale, invero) di Njegus, impiegato di cancelleria che correva di qua e di là con gesti marionettistici e caricati, all’insegna di una comicità un po’ forzata. Idem dicasi di Nicolò Ceriani, barone e ambasciatore pontevedrino a Parigi, decisamente sopra le righe; un po’ troppo imbalsamato e affettato invece il Danilo Daniolowitsch di Alessandro Safina (dalla pessima recitazione e del tutto privo di quell’ironia e quella smagata souplesse, quel cinismo che sono connaturati al personaggio). Benino il Rossillon di Ivan Magrì, e opportunamente ‘caricati’ anch’essi (fin troppo sopra le righe) il visconte Cascada (il baritono Dario Giorgelè), Raoul de St. Brioche (il tenore Max René Cosotti) e il Console pontevedrino reso da Paolo Maria Orecchia. Sul versante femminile è parsa inizialmente poco a suo agio e un po’ spaesata la pur sempre valida e fascinosa Svetla Vassileva nel ruolo protagonistico di Hanna Glawari (come se con l’operetta si trovasse fuori dalle acque territoriali del melodramma che le sono più consone…), apprezzata Daniela Mazzuccato in Valencienne e così pure il terzetto costituito da Sylviane, Olga e Praskowia (Marta Calcaterra, Francesca Rotondo e Francesca Franci, convincenti sia sul piano scenico, sia su quello vocale ed anche quanto a recitazione e gestualità, pur entro la ‘filosofia’ di uno spettacolo decisamente a forti tinte).
La direzione monocroma, imprecisa, spesso fiacca o tutto forte, francamente anodina di Christoph Campestrini non ha certo aggiunto plusvalore ad uno spettacolo che, pur tuttavia, è andato in crescendo: innescando dapprima sinceri sbadigli con le lungaggini del primo atto, poi strappando qualche consenso nel secondo e infine attingendo ad una innegabile brillantezza nel terzo che, infatti, ha (parzialmente) riscattato la serata; sortendo applausi convinti da parte di un pubblico un po’ scarso (ormai a fine stagione e quasi alle porte di luglio).
Al Regio, per la stagione lirica, si riparte da Verdi, con la Messa da Requiem, dapprima (il 30 settembre) e poi con Otello, primo vero titolo del cartellone 2014/2015 (14 ottobre). Ma prima, al Regio, non mancheranno le emozioni settembrine con i vari appuntamenti nell’ambito di MiTo. Ed ora tutti in vacanza, in attesa che si delinei il ‘giallo’ circa le divergenze tra sovrintendenza (Vergnano) e direzione musicale (Noseda) che hanno tenuto le colonne dei quotidiani, post conferenza stampa. In scadenza il 14 luglio, si saprà se resteranno, se sarano confermati, entrambi, se uno solo dei due o se (come si vocifera) verranno affiancati da un terzo uomo (un direttore artistico in senso più tradizionale) del quale si sussurra da giorni. E chissà che il giorno della presa della Bastiglia a Torino sia il momento dello scioglimento di un tormentone che dura ormai da settimane. Per ora una certezza è sotto gli occhi di tutti: una stagione di tutto rispetto che si protrarrà sino a luglio 2015, con 15 titoli (dal Giulio Cesare al Faust, da Barbiere a Norma passando per Nozze di Figaro, Turco in Italia, Suor Angelica e Puritani con le rarità di Hänsel e Gretel e Goyescas), bei nomi nei cast, regie di spicco e direttori di livello. E scusate se è poco: il merito, ça va sans dire, alla squadra attuale, ovvero alla premiata accoppiata Vergnano-Noseda, che ha saputo inoltre portare il Regio nel mondo, è di quest’oggi la notizia della firma di un accordo per future coproduzioni con la Cina.
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