Vivaldi, Galuppi, Pergolesi. Con la direzione di Federico Ferri e la voce del contralto l’ensemble ha proposto un binomio di concerti e cantate italiane
di Alexandros Maria Hatzikiriakos foto © Damiano De Rosa
L’Accademia degli Astrusi, diretta da Federico Ferri, si è ormai distinta come uno tra i più interessanti ensemble italiani di musica antica. Con particolare attenzione al repertorio italiano sei e settecentesco, gli Astrusi hanno creato finora progetti di ottimo livello, come il recente Dido and Eneas di Purcell presentato a MiTo Settembre musica, o l’ammirevole esperimento monteverdiano con Anna Caterina Antonacci, che il pubblico romano ha potuto ascoltare all’Istituzione Universitaria dei Concerti già tre anni fa. Gli Astrusi tornano alla IUC, questa volta insieme a Sara Mingardo, con un binomio di concerti e cantate italiane di Pergolesi, Vivaldi e Galuppi. La rara, piena voce di contralto della Mingardo costituisce la vera e propria pietra angolare della serata e la scelta dei brani sembra infatti essere stata cucita attorno al talento della protagonista, esperta indiscussa del primo Settecento italiano.
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Federico Ferri è sicuramente un abile concertatore, attento nella ricerca di un suono sempre ricco e cesellato di sobri chiaroscuri. Uno dei punti forti degli Astrusi si trova infatti in una saggia calibratura di dinamiche e colori timbrici, che non rinuncian alla brillantezza dell’esecuzione. Ben pochi appunti si possono quindi fare a questo ensemble, se se ne condividono il gusto e le scelte, diversi spesso dagli approcci e dalle sonorità di altri gruppi più affermati come I Turchini o Concerto Italiano. La marca degli Astrusi si è misurata bene nell’esecuzione del Salve Regina di Pergolesi, che con una piccola forzatura può essere definito uno Stabat Mater in miniatura, giacchè ne condivide alcuni elementi tematici fondanti e la tonalità d’impianto. Nella concertazione si nota appunto un fraseggio più legato del consueto: il suono è carico ed avvolgente, al limite, forse, ma senza infrangere le convenzioni dello stile. Si riscontra quasi una certa risonanza col timbro pastoso e puramente contraltile della Mingardo.
Nelle battute d’esordio della sinfonia vivaldiana Al Santo Sepolcro, Ferri ha cercato invece un pianissimo quasi metafisico, rischiando, a tratti, la qualità dell’intonazione, in un passaggio dalla scrittura già molto complessa. Il risultato complessivo rimane però notevole e si rimane colpiti da un sottile gioco di timbri e di raffinate sfumature. Il direttore degli Astrusi ha mostrato anche di avere una conduzione sicura e brillante nei tempi veloci dei concerti, che ha guidato con naturalezza e decisione. Particolarmente felice in tal senso è stata sicuramente l’esecuzione dello splendido Concerto in sol minore di Galuppi, autore troppo spesso trascurato dalle stagioni italiane. Ha chiuso il programma Cessate, omai cessate, tra le più famose cantate profane del Prete Rosso; sicuramente uno dei momenti più felici del sodalizio Astrusi-Mingardo. Il contralto si è trovato in un pieno e naturale agio tanto nell’interpretazione dei due lunghi e articolati recitativi quanto nei passaggi d’agilità, soprattutto durante l’ultimo movimento, il virtuosistico Nell’orrido albergo. Per congedarsi, gli Astrusi e la Mingardo hanno regalato al loro caloroso pubblico uno straordinario Ombra mai fu, bis scontato forse nella scelta, ma non nell’interpretazione. Seppure la scrittura vocale non sia stata pensata per la sua tessitura, Sara Mingardo ha saputo donare quattro minuti di stupore, spiegando dal grave all’acuto, con pari eleganza, ogni nota del suo talento.
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