di Cesare Galla foto © Luigi De Frenza
Le nozze di Figaro in questi giorni al teatro Olimpico di Vicenza, clou della venticinquesima edizione del festival “Settimane Musicali”, sono il completamento della trilogia di Mozart-Da Ponte sulla scena palladiana, nell’edizione firmata per la regìa dal basso Lorenzo Regazzo e per la direzione da Giovanni Battista Rigon. Creato una quarantina di anni fa da Joseph Losey per il suo film-opera Don Giovanni (il “cavaliere estremamente licenzioso” abitava alla Rotonda e faceva delle Vie di Tebe il labirinto ideale per “Metà di voi qua vadano…”) il connubio fra Palladio e il musicista salisburghese ha in seguito avuto una prosecuzione teatrale, anche grazie a una vecchia scenografia (risale al 1948) che riproduce in scala la “frons scenae” dell’Olimpico. Ne era nata un’originale edizione della trilogia, diretta da Gianfranco de Bosio prima a Treviso e poi, sul finire degli anni Novanta, a Bologna.
È chiaro tuttavia che altro è un utilizzo “citazionistico” in chiave scenografica e altro è trovarsi dentro allo spazio speciale e ingrato di una scena-monumento che fissa per sempre non tanto l’idea di una raffigurazione della Tebe sofoclea, quanto la sua trasfigurazione in una città ideale, nella quale la Vicenza cinquecentesca cercava il suo rispecchiamento.
Bisogna dire che il problema è sempre stato vissuto da Regazzo con molta naturalezza: un confronto che può sembrare talvolta anche uno scontro ma che non è mai stato dirompente. In questa trilogia “à rebours” (il primo titolo, nel 2014, è stato Così fan tutte, seguito l’anno scorso da Don Giovanni) si è assistito semmai a una progressiva conquista della misura interpretativa. Così era spinta sul versante del razionalismo fino ad amplificarne il cinismo, addirittura postulando la consapevolezza immorale delle due protagoniste ben prima del disvelamento finale. Don Giovanni era basato sul provocatorio smantellamento del mito, sottolineato dalla voluta volgarità dell’attualizzazione della vicenda, mentre queste Nozze di Figaro segnano l’affermazione della dimensione emotiva e psicologica, lasciando sullo sfondo l’elemento politico e rivoluzionario. Nel suo spettacolo, infatti, Regazzo privilegia l’esaltazione del vero grande tema di quest’opera: la ricerca della felicità (così la definì tanti anni fa Massimo Mila) che accomuna tutti i protagonisti della “folle journée”, racconto musicale dei mille volti dell’amore, in un caleidoscopio insieme tenero e ambiguo, sensuale e ingenuo, grottesco e realistico.
Da questo punto di vista, la “commedia umana” effigiata nel grandioso capolavoro non soffre più di tanto della sua attualizzazione, perché lo spettacolo (svolto fra gli oggetti scenici scelti da Carla Conti Guglia, animato dagli spiritosi costumi di Riccardo Longo) vive sul frenetico ed efficace dinamismo di tutti i personaggi. Un ritmo tanto più significativo perché posto come contraltare dell’aulica fissità delle statue che popolano la parete scenica. Non a caso frequentemente scrutate, illuminate, in certo qual modo “interrogate”, specialmente dal Conte, il personaggio più “antico”, quello che presto la Storia s’incaricherà di spazzare via.
Mozartiano esperto, Giovanni Battista Rigon regge le fila del discorso musicale con finezza pari all’efficacia espressiva. Il suo fraseggio è vario e ricco, basato su tempi in genere spigliati che non escludono però, ove necessario, il ripiegamento pensieroso nelle zone del patetico o del sentimentale. La sua lettura delle Nozze è fresca e precisa, eloquente grazie anche alla ricchezza e precisione di suono dell’orchestra di Padova e del Veneto, capace di illuminare la vera rivoluzione musicale di un’opera nella quale gli strumenti diventano protagonisti al pari dei personaggi che si muovono sulla scena.
Compagnia di canto interessante per omogeneità e attenzione stilistica. In evidenza il Conte arrogante e fatuo di Marco Bussi, voce ben timbrata e ottimamente condotta e la Contessa estenuata e rassegnata di Patrizia Biccirè, bella voce e linea di canto morbida. Un Figaro di multiforme dimensione psicologica e quindi espressiva è Daniele Caputo, dalla ricca gamma coloristica, mentre Carolina Lippo dà vivacità e malizia a Susanna, definita con colore brillante e duttile linea di canto. Cherubino è Margherita Rotondi, elegante nella vocalità e abile scenicamente a incarnare le molteplici ambiguità di cui la regìa la carica. La pattuglia dei cantanti cui toccano i ruoli più spiccatamente comici conta l’ottimo Filippo Pina Castiglioni nei panni di un Basilio plateale eppure mai sopra le righe, l’ammiccante Giovanna Donadini nei panni di Marcellina, Antonio De Gobbi come Bartolo prima iroso e infine rassegnato. In linea anche Elvis Fanton (caricaturale Curzio), Claudio Zancopè (Antonio), Francesca Cholevas (Barbarina) come pure il coro dei Polifonici Vicentini (istruito da Pierluigi Comparin) che canta e si muove con apprezzabile efficacia. Teatro Olimpico al gran completo alla prima, e oltre dieci minuti di applausi per un successo senza ombre.