Per il capolavoro donizettiano, giovani interpreti e l’atavica brutalità delle guerre di ogni tempo
di Elena Filini
Ci sono favole buone e favole cattive. Ci sono madri spietate e fratelli crudeli. Eroine forti e figure spezzate. Nell’opera, come nella società, il corpo delle donne è sempre il teatro delle grandi violenze del mondo. E il più celebre titolo tragico di Gaetano Donizetti non fa eccezione. Enrico e Lucia, lasciati soli dai genitori in un mondo inospitale ed aggressivo, hanno il fondamentale problema di strutturare la propria vita di adulti come Hänsel e Gretel. Per la logica del clan è la donna a sottostare: è così che tutta la potenza benefica di eros si trasforma in devastazione (thanatos) di fronte al divieto di amare. Lucia è un’assassina o, come Elettra, uno spirito puro che combatte per la propria verità e dunque merita il perdono?
Lucia di Lammermoor, titolo in scena al IX Bergamo Musica Festival, vede eseguita la nuova partitura critica licenziata dalla Fondazione Donizetti, a cura di Gabriele Dotto e Roger Parker, e propone, nel suggestivo impianto registico di Francesco Bellotto, uno scenario da guerra civile. Al centro del dramma è una Scozia intrisa di sangue, piena di sinistre premonizioni e malefici. La storia ha la bestialità di ogni guerra civile: al cupo colore cinquecentesco evocato dai costumi fa eco sinistra la bella scenografia di Angelo Sala che porta in scena una città sventrata: Iraq? Bosnia? Architetture divelte che descrivono un mondo interiore brutale e maschile, dove le donne imparano la logica del sangue diventando da vittime, carnefici. In questo mondo terribile e suggestivo, a mezza via tra Ossian e Braveheart, si fa strada la bellezza disadorna di una restituzione: il lavoro sulla partitura riguarda in particolare la scena centrale dell’opera, la pazzia.
Le note storiche dei Quaderni della Fondazione Donizetti chiariscono la prosaicità delle motivazioni che portarono il compositore a dover rinunciare, già a partire dalla prima, all’armonico, lo strumento straniante e mesmerico che doveva sottolineare il clima turbato della follia di Lucia. Tuttavia il recupero della glassarmonica non ha alcun valore archeologico: lo strumento fornisce un clima inimitabile. L’altra novità rilevante riguarda la cadenza. Entrata di peso nella tradizione, in realtà fu scritta nei tardi anni Ottanta per Nellie Melba dalla sua insegnante, la leggendaria Mathilde Marchesi. Dunque Lucia di Lammermoor al Donizetti si presenta in qualche modo depurata, vicina ad un dettato iniziale. A dare corpo a questa produzione, tratto distintivo della Fondazione, cantanti esordienti, selezionati solo per audizione. Una sorpresa via via sempre più positiva è la ventiseienne Bianca Tognocchi nel ruolo di Lucia. Allieva di Adelina Scarabelli, al debutto dopo poco più di un mese di lavoro, il soprano presenta una prova in crescendo, contraddistinta da una voce di lirico leggero di volume non amplissimo ma dal colore caldo e omogeneo e da una tenuta musicale superiore. Vocalmente virile e pugnace è l’Edgardo di Raffaele Abete: in potenza la voce è notevole, ma la preparazione tecnica ha ampi margini di perfettibilità. Christian Senn è un protagonista sensibile e teatralmente ideale: davvero convincente il suo Enrico Ashton. Da segnalare la brillante prova di Gabriele Sagona quale Raimondo, con convinti applausi al termine delle due arie. Riccardo Gatto è un Arturo brutale e bramoso, un don Rodrigo inglese: questa scelta drammaturgica risulta molto convincente e toglie al personaggio la consueta insulsaggine. Normanno (Francesco Cortinovis), che in questa regia ha un ruolo perfettamente incardinato, segnala vistose crepe musicali mentre funzionale e scenicamente interessante è Alisa di Elisa Maffi. Sigillano una recita positiva la buona prova del coro (con qualche debolezza nella sezione bassi) preparato da Fabio Tartari e l’orchestra diretta da Roberto Tolomelli.