di Michele Manzotti
Il libro è un best seller, amato da milioni di lettori. Eppure non sono mai stati concessi diritti per trarne uno spettacolo teatrale o un film. Però è stata fatta eccezione per l’opera, recensita dal Corriere Musicale in prima italiana dal Festival della Valla d’Itria, che l’ha commissionata insieme al Maggio Musicale Fiorentino-Opera di Firenze. «Sono stato convincente con l’editore italiano, Adelphi», spiega il compositore Marco Tutino Le braci, dal romanzo di Sándor Márai, sarà in scena dal 5 al 15 novembre all’Opera di Firenze. Tutino, autore di libretto e musica, è arrivato a Firenze per assistere alle prove del suo lavoro con la direzione d’orchestra di Francesco Cilluffo e la regìa di Leo Muscato. «Rispetto alla versione presentata a Budapest – spiega Tutino – ci sono delle variazioni. Oltre a qualche dettaglio, ho aggiunto un melologo prima dell’opera tratta dal testo originale. Non è una vera e propria ouverture, ma mi sembrava giusto dare agli spettatori un saggio della scrittura di Márai che mantenesse la sua diversità rispetto all’opera dove c’è invece il mio lavoro».
Qual è la sua lettura della vicenda?
«È particolare, ma vorrei fosse una sorpresa. La natura dei personaggi è stata cambiata. Un incontro nel romanzo che è del tutto reale è trasformato in quello tra fantasmi. E’ un peccato rivelare il colpo di scena finale, e d’altra parte ho scelto una conclusione. Il fascino del libro è infatti quello della sospensione e di una non risoluzione finale in modo che lettore possa avere la sua visione personale. Da un punto di vista drammaturgico invece c’è la necessità di un’azione conclusiva».
Come è stato lavorare sul testo (non necessariamente solo su questo) per trarne il libretto?
«Ritengo che un compositore di opere è tale solo se partecipa in prima persona alla stesura del testo. La prosa deve essere cambiata in versi e bisogna teatralizzare ciò che è narrativo. Non ci sono tanti dialoghi nel libro e posso dire che è stato un lavoro difficile, forse il più difficile tra quelli che ho affrontato».
Per quanto riguarda la musica, con quale linguaggio ha deciso di caratterizzare la storia?
«Con l’ambientazione di fine ‘800 non è stato possibile prescindere dal valzer viennese che tra l’altro è citato nel libro. Ci sono quindi dei richiami al passato, anche per sottolineare i personaggi e la loro età, ma inseriti in un contesto diverso».
I cantanti come hanno trovano la sua scrittura?
«Innanzitutto a me dispiace constatare come in Italia non si insegni a un compositore come scrivere per un cantante. Ad esempio quali vocali non utilizzare per i registri acuti. Venendo a Le braci , ho avuto la possibilità di ascoltare Angela Nisi subito dopo avere scritto l’opera. Ero giurato a un concorso e appena l’ho sentita ho detto “Questa è Kristina” affidandole subito il ruolo. I due protagonisti Alfonso Antoniozzi e Roberto Scandiuzzi inoltre danno prova di una bella intesa in scena, con una bella dose di elettricità».
Lei è un compositore molto eseguito, anche all’estero. Si è chiesto come mai?
«Sono cambiate un po’ di cose rispetto al passato. Un’opera nuova ha un costo maggiore, dovuto anche alla commissione. Quindi ai teatri servono opere “vere” e non si deve deludere il pubblico di cui i teatri stessi hanno bisogno».