Inossidabile signora del Belcanto mondiale, ha chiuso giovedì 29 marzo un intenso periodo – scandito da Anna Bolena al Maggio Musicale e da un recital alla Scala – con un galà al Teatro Comunale di Treviso. Qui, nel 1973, vinse il Concorso Toti dal Monte con l’opera destinata ad entrare nel suo Dna: Lucia di Lammermoor
di Elena Filini
Alcuni anni sono trascorsi, il volto della città è cambiato e l’ingresso artisti non è più quello. Se n’è accorta subito la signora Devia che, apparentemente incurante dei ricordi, ha voluto appurare. Però poi ad ascoltarla, la sera, la riflessione unanime è stata una sola. Come è possibile poter presentare un recital del genere (arie francesi e belcanto italiano) con tale, immutata freschezza? Fiati eterni, la sempre rilucente bellezza dei sovracuti, una prima ottava maggiormente stondata. E l’applauso che scroscia immediato, sonoro, forse solo un poco irrobustito dalla presunta presenza di una clacque. In mattinata, la signora Devia ci riceve in un relais storico di Treviso, dimora trecentesca trasformata in hotel de charme di fronte al Tempio di San Nicolò.
«Sono felice di essere a Treviso. Mi sono detta: perché non tornare? L’ultima volta ero qui nel 1988 e feci Puritani. Avete intitolato il vostro teatro a Mario Del Monaco. Mi aspettavo una dedica a Toti dal Monte. E’ stata un’artista straordinaria e una donna meravigliosa. Per me era un mito e quando la conobbi a Treviso fu come realizzare un sogno». Mariella Devia è reduce da un appuntamento importante. L’atteso (e temuto) recital alla Scala, lunedì 26 marzo. “È andata bene, ma quanta tensione!”
Come ci si arma contro l’urto psicologico di questo lavoro?
«Non si esce mai indenni. È difficile, è sempre difficile. Forse in qualche modo si impara a convivere, ma ha il suo prezzo. Il recital alla Scala era una di quelle cose che non possono non lasciare indifferenti. Per giorni il mio pensiero era fisso lì. Allora leggevo, cercavo di distrarmi, ritornavo sugli spartiti guardando i punti peggiori, cercando di darmi delle istruzioni precise per dominare l’ansia. Contrariamente ai molti ritratti di imperturbabilità che mi vengono cuciti addosso io sono un’emotiva, sento moltissimo la tensione della scena. Non è cambiata l’angoscia con gli anni, forse si è accresciuta perché la posta in gioco sembra sempre più alta».
È solo un momento,ma ha gli occhi lucidi. Poi si ridomina, ritorna l’ampio sorriso. Riprende le distanze. Si capisce però che non è un vezzo, ma uno spazio vitale. «La mia sopravvivenza negli anni non è dovuta soltanto, come molti credono, ad una tecnica costantemente sorvegliata. È dovuta alla riservatezza, all’apparente chiusura con cui mi difendo a volte dai pesi e dai dolori della vita. Ricordando soprattutto di essere una persona fortunata».
Cosa l’ha orientata nella sua vita professionale?
«Il senso di responsabilità. Dall’esterno si possono dire molte cose, ma io so quanto sia stato difficile riuscire ad imporsi. E quanto mi sia costato lavorare quotidianamente sulla mia voce, sviluppare un istinto per capire ciò che nel repertorio mi faceva bene e ciò che dovevo rifiutare. E sempre, in vista di un impegno, ho profuso il massimo studio, da sola e con il pianista. L’orecchio esterno è sempre necessario»
Negli ultimi tempi ha ritagliato una fetta del suo tempo per dedicarsi all’insegnamento.
«Devo dire che l’esperienza del master mi lascia un po’ l’amaro in bocca. C’è troppo poco tempo, il nostro è un mestiere fisico ed è difficile riuscire a incidere sulla memoria muscolare in cinque giorni o una settimana. Poi devo dire che facendo master ho potuto constatare lo scarso livello dei conservatori italiani. Questi poveri giovani, che in teoria avrebbero completato un corso di studi, hanno problemi tecnici basilari. Mi fa stare male. C’è irresponsabilità, non ci si rende conto dei danni. Alcuni poi hanno un atteggiamento di supponenza che non li aiuta certo a migliorare. Non generalizzo, è ovvio, ma la consapevolezza tecnica e musicale media è davvero bassa».
Lei forse è stata più fortunata, ha avuto un’unica insegnante
«Però uno deve anche assumersi le sue responsabilità, capire e filtrare gli insegnamenti. Siccome il canto è prima di tutto una questione fisica, uno deve capire se stesso e soprattutto come agire sotto il profilo muscolare quando è sotto stress. È così facile rovinare una natura vocale!».
Lei è (e non solo sotto il profilo vocale) un’interprete apollinea. Solo Belcanto, una scelta azzeccata dietro l’altra, mai un cedimento, mai una caduta. Un miracolo di sobrietà. Ma se dovesse fare una pazzia vocale?
«Quello che mi rovina è lo scrupolo. Capirei di non essere all’altezza e soffrirei da morire. Dunque che divertimento c’è? Però forse una sto per farla, in effetti. È Liù, che canterò a Genova il prossimo aprile. Per la mia voce può essere intesa come una forma di pazzia».
E Norma, che debutterà nel 2013?
«Detto sinceramente: mi fa una grande, grande paura. Al momento so solo Casta Diva… A volte mi chiedo perché ho ceduto, e poi mi dico, insomma, alla mia età posso anche farla. E poi si vedrà! Certo che dovrà essere ai miei patti, il che significa un cast giusto, belcantista».
Veniamo alla situazione attuale dei teatri italiani. Lei è reduce da una Bolena al Maggio Musicale con.. pianoforte. Tanto per elencare l’utlima anomalia di un cahier de doléances che comincia diventare lunghetto.
«Quella è stata una recita durissima. Ma non si poteva deludere il pubblico e aggiungo, quel poco pubblico che ancora non si è disamorato. Sappiamo tutti che è una questione economica. E’ da tempo che i teatri ci chiedono di ridurre i cachet ed ognuno lo ha fatto. Però c’è anche un’emergenza educativa. Perché non si portano i bambini all’opera? È uno spettacolo così ricco ed emozionante. Mi è capitato di vederne alcuni letteralmente incollati alla scena»
Cosa farà ora, in attesa del debutto di Turandot al Carlo Felice?
«È stato un periodo duro, in futuro desidero rallentare un po’. Finalmente torno qualche giorno a casa, a Roma, dove potrò riposarmi, stare con la mia famiglia. Ho una figlia che per fortuna si è salvata dal lavoro della musica (ride) e un meraviglioso nipotino. Li considero la mia oasi».