di Luca Chierici foto © Brescia&Amisano
Maurizio Pollini è tornato alla Scala accolto con entusiasmo dal pubblico milanese che tanto gli è affezionato e che è stato spettatore di un bel concerto centrato sui nomi di Chopin e Debussy. A settantaquattro anni Pollini non ha più l’incedere di un tempo ma conserva praticamente intatto lo smalto del suo pianismo vertiginoso e la voglia di cimentarsi sempre in qualcosa di nuovo, con tutti i rischi che ciò può comportare sulle scelte interpretative spesso controcorrente. In un cd di prossima uscita il pianista presenterà una parte di repertorio chopiniano che non aveva ancora affrontato, in particolare le due serie di Mazurke op. 59 e 63, all’interno di un progetto che considera composizioni aggregate in ordine cronologico, con una particolare attenzione agli ultimi esiti stilistici del musicista polacco.
Proprio per questo motivo, e per rispettare uno dei canoni che stanno alla base dell’invenzione dello Chopin “ultima maniera”, è per quasi tutti gli interpreti necessario realizzare in modo esemplare la scrittura contrappuntistica che l’autore, interessato allo studio del Cours de Contrepoint et Fugue di Cherubini che era stato pubblicato nel 1835, inserisce spesso in numerosi esempi a partire almeno dalle Mazurke op. 50. L’officina pianistica, il nuovo lavoro denso di fatica e di meditazione sulle sei mazurke affrontate da Pollini non ha convinto solamente in un paio di casi, nella terza dell’op. 59 (dove esiste pure un lato patriottico e solenne le cui linee venivano perse nell’adozione di una velocità maggiore dell’usuale) e nella terza dell’op. 63 dove ancora la velocità affrontata non permetteva la percezione chiara della fitta trama contrappuntistica che chiude il lavoro e che pochissimi pianisti riescono a sviluppare tramite un’arte superiore della differenziazione timbrica. Non che Pollini non possa essere in grado di eseguire questi passaggi come un’altissima tradizione ci tramanda: semplicemente egli non è interessato a questo aspetto – che a noi pare però irrinunciabile – e procede dritto per la sua strada.
Né Pollini è apparentemente interessato al coté nazional-popolare presente nelle Mazurke (dalla prima all’ultima), e ciò ci appare piuttosto incomprensibile perché tale aspetto era invece stato da lui sottolineato nella celebre lettura delle Polacche. Se Pollini evita tutto il comparto chopiniano dei Valzer, dove è inevitabile sposare la pur retorica scansione in tre quarti e un certo gusto salottiero, raffinato quanto si vuole, egli ci appare inspiegabilmente lontano dalla matrice ritmico-nostalgica insita nelle numerosissime Mazurke, e non a caso ha preferito rivolgersi nella sua carriera solamente ai cicli tardivi (a parte l’op. 33), nei quali esistono anche altri elementi di interesse. Eppure Pollini non può essere certo stato indifferente a tutta una tradizione di esecuzioni delle Mazurke che ha trovato d’accordo, pur con le sfumature del caso, pianisti come Friedman, Horowitz, Rubinstein e in parte Cortot, solo per citare i massimi esempi, e sappiamo da una sua dichiarazione che egli fu molto colpito da una esecuzione privata di una mazurka ascoltata nell’appartamento di Horowitz a Manhattan.
Se nel caso delle Mazurke ci si è trovati parzialmente di fronte a un punto interrogativo, tutt’altra cosa è avvenuta per quelle composizioni che Pollini ha in repertorio da molto tempo, cioè lo Scherzo op. 20 (e quello op. 39 incluso nei bis, come la Berceuse op. 57) il Preludio op. 45 e i due Notturni dell’op. 62, dove il pianista ha confermato l’eccellenza di esecuzioni che conoscevamo assai bene.
Altrettanto straordinaria, forse in grado ancora maggiore, è stata la resa del Secondo libro dei Préludes debussiani, anch’essi ben noti agli estimatori dell’arte del pianista milanese. Nel secondo libro Pollini si trova più a proprio agio che nel primo, perché il primo contiene un numero maggiore di riferimenti descrittivi piuttosto chiari e anche non poche divagazioni umoristiche (si pensi a Minstrels) che a volte non sono esattamente nelle corde del pianista. Più astratti, spesso indirizzati al mondo degli Studi (dei quali Pollini è interprete sommo) i Preludi del secondo libro impongono tra l’altro riflessioni timbriche e ritmiche che in questo caso si sono tradotte in una esecuzione smagliante e di altissimo livello.
Il pubblico ha come sempre accolto Pollini con calorosi applausi, un poco impacciati nella prima parte della serata perché non era chiarissimo quali fossero gli intervalli tra un pezzo e l’altro. Applausi che sono diventati irrefrenabili via via che il programma procedeva e giungeva al momento dei bis. Il Pollini esecutore del Terzo scherzo di Chopin ci è sembrato paragonabile a quello che negli anni ’80 aveva presentato per le prime volte questo pezzo così fantastico anche dal punto di vista della realizzazione puramente strumentale (a patto che lo si suoni in questo modo!). La serata, oramai agli sgoccioli, è proseguita con l’impeccabile Cathédrale engloutie (dal primo libro dei Préludes) e con la sempre affascinante e profetica Berceuse di Chopin.