L’inaugurazione del festival settembrino regala un trionfo nel segno della raffinatezza
di Attilio Piovano
UN VERO TRIONFO, quello di Gianandrea Noseda, alla guida della LSO, in assoluto – si sa – uno dei massimi complessi sinfonici su scala internazionale, la sera di venerdì 2 settembre 2016, al Regio di Torino per l’apertura di MiTo Settembre Musica, che si avvale della nuova direzione artistica di Nicola Campogrande: alla presenza dell’attuale sindaco di Torino, Chiara Appendino, del sindaco uscente Fassino la cui Giunta aveva programmato siffatta edizione, del sindaco di Milano e di varie autorità. Sold out e dunque sala gremita all’inverosimile. A fine serata un vero e proprio trionfo, standing ovation al direttore e alla compagine. E dire che non si trattava certo di un programma ‘facile’, di un programma di immediato appeal, dacché la prima parte – quantomeno – nel nome di Debussy, era nel segno di una raffinata ricercatezza.
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E dunque La Mer della quale Noseda fornisce un’interpretazione iper-analitica, consapevolmente centellinata, ibridando la partitura di mille sfumature coloristiche, senza mai perdere di vista l’affresco complessivo di questa pagina imbevuta di simbolismo e impressionismo al tempo stesso; dove è giusto porre sì in evidenza i dettagli talora onomatopeici, ma nella quale occorre soprattutto – come ottimamente è accaduto – far percepire il respiro del mare in tutte le sue declinazioni: dall’esordio prima assorto e misterioso, poi traslucido e luminescente, all’imperversare del vento che sferza la superficie con ondate immani e pare di percepirle in tutta la loro materica fisicità. Ben assecondato dalle straordinarie qualità della LSO, che non ha eguali, Noseda ha conferito al poema sinfonico il giusto spessore timbrico, evidenziando inoltre una quantità di preziosità armoniche e di fraseggi che in altre esecuzioni risultano, se non penalizzate, certo un poco messe in ombra, come tra parentesi. Gesto esuberante e sicurezza assoluta, Noseda, come un esperto nocchiero ha saputo condurci attraverso questo viaggio d’altura tra le acque debussiane portando la temperatura emotiva della platea a livelli già elevatissimi.
Poi nella seconda parte della serata è stata la volta della Seconda Sinfonia in mi minore op. 27 di Rachmaninov, dall’inconfondibile linguaggio. Pagina di vaste proporzioni, talora perfino debordante e in qualche tratto non priva di enfasi e talune prolissità, della quale Noseda conosce in profondità i segreti. E allora ecco i tratti appassionati e incandescenti, ma anche la bellezza melodica dei passi lirici assolutamente ‘idiomatici’. Certo, talora ci si aspetterebbe uno di quei temi indimenticabili e cinematografici come – per dire – nell’immortale Secondo Concerto pianistico, temi che qui sono meno plasticamente evidenziati. Pur tuttavia l’Adagio centrale regala non poche emozioni e l’Allegro finale seduce con la vivacità incandescente dei suoi ritmi. Pubblico in visibilio e due fuori programma, il secondo dei quali – una tra le più note e amate Danze Ungheresi brahmsiane – affrontato a velocità supersonica e con una generosità come pochi altri direttori e poche altre orchestre osano e possono permettersi. Svariati minuti di applausi scroscianti a suggellare un successo pressoché incondizionato.
Novità di quest’anno, espressamente voluta dalla direzione artistica, allusivi ed essenziali sottotitoli posti ad ‘illustrare’ in tempo reale le due partiture, un filino pleonastici se non addirittura fumettistici, come taluno faceva notare, con eccessiva severità, con quel tono scanzonato e non di rigorosa analisi, come giusto, del resto data la sede: un tentativo di divulgazione, quasi nello stile colloquiale di facebook («alé, ecco tutta l’orchestra», «i corni giocano a fare il telegrafo», «orecchio al tema dell’oboe»), tentativo che alcuni hanno mostrato di gradire e apprezzare a fronte delle perplessità di una parte del pubblico (nonché di alcuni addetti ai lavori).
In apertura, dopo una breve, garbata e assai amabile introduzione al concerto a cura di Stefano Catucci, a propiziare l’esecuzione del poema marino, si erano ascoltati – in prima esecuzione per l’Italia – di Debussy ben cinque Préludes dalla seconda serie della silloge pianistica, nella policroma trascrizione sinfonica di Nikos Christodoulou (La Puerta del Vino, General Lavine, La Terrasse des Audiences du Claire de Lune, Hommage à S. Pickwick e infine Feux d’artifice). Trascrizione di apprezzabile bellezza, screziata e condotta – questo sì – con mano sapiente, anche se invero in qualche caso finisce per tradire almeno in parte gli assunti dell’originale pianistico. Un originale che, al contrario dei musorgskijani Quadri gratificati si sa dalla sublime versione del ‘mago’ Ravel non preconizza affatto l’orchestra ed è a maggior ragione del tutto autonoma in se stessa. Se convincono gli iberismi del primo, emergendo con efficacia, e così pure il clima alonato e flou della Terrasse, personalmente ci pare assai meno riuscito il risultato dell’ultimo, dove le sonorità pianistiche appaiono come trasfigurate/stravolte in orchestra e in parte la dirompente carica eversiva della pagina risulta come attenuata, attutita se non un po’ annacquata. Ovviamente si tratta di riserve del tutto opinabili, tant’è che le perplessità della critica nulla hanno tolto al successo pieno e incondizionato dell’esecuzione: successo che si è ripetuto la sera seguente in occasione della replica scaligera, volta ad ‘aprire’ MiTo sul versante meneghino.
Non solo: La Mer e la Seconda di Rachmaninov figuravano altresì in programma della serata conclusiva per lo Stresa Festival, martedì 6, con l’unica variante dei wagneriani Maestri Cantori (Ouverture) in luogo dei debussiani Préludes.
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