Le forze della natura nella sinfonia di Richard Strauss, diretta da Valčuha, pervadono la sala da concerto torinese. Nella prima parte della serata il Concerto per violoncello di Schumann, solista Truls Mørk
di Attilio Piovano
ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE RAI in gran spolvero, le sere di giovedì 14 e venerdì 15 gennaio, per l’undicesimo appuntamento di stagione: a Torino, presso l’Auditorium Toscanini. Soprattutto OSNRai in versione extra large, significativamente rimpolpata nei suoi ranghi (oltre 120 elementi) per affrontare comme il faut la straussiana Alpensinfonie. Qualcuno — e lo si può tacciare di essere a dir poco blasfemo — afferma talora che l’autore del Rosenkavalier ci mette oltre 50 minuti per “descrivere” una montagna, tutto qui; altri (ancor più irriverenti) sostengono che si tratti di una partitura buona giusto per verificare il range dinamico di un impianto Hi-Fi: vere e proprie bestemmie.
Poi ci sono gli ammiratori incondizionati di questa pagina eccelsa, nella quale tutto è in primo piano, tutto è palpabile, basta chiudere gli occhi ed ecco l’inizio quieto, il mistero della notte, con quel si bemolle a lungo protratto e gli ottoni in pianissimo, poi il primo apice con lo sfolgorio del sole (già Haydn aveva ceduto all’emozione dello splendore mattutino, nelle prima parte della Creazione), gli zampilli argentini della cascata (celesta e xilofono), i temi ampi e distesi per delineare i prati, ma anche l’arcano ingresso nel bosco, l’alpeggio con quelle campane da gregge che sedussero anche Mahler, e pare perfino di sentire il pizzicore delle malghe, quindi la sommità della vetta; poi (quasi anabasi e catabasi) la discesa non priva di sorprese e tra queste il calare della nebbia che avvolge ogni albero ed ogni declivio con la sua caligine boffice, il temporale e la tempesta che si scatenano in orchestra: in assoluto uno dei vertici di virtuosismo orchestrale toccato da Strauss.
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E qui anziché chiuderli — gli occhi — è consigliabile tenerli apertissimi dacché vedere una compagine sinfonica sì vasta alle prese con il magma tellurico (pardon con il conflagrare del cielo) scatenato da Strauss è un bello spettacolo, davvero: con tanto di macchina del vento, profluvio di percussioni ed effetti che definire “cinematografici” appare un’ovvietà scontata. Infine il calare del sole e allora la sensazione che il freddo pungente si stia impadronendo del tuo corpo e ti entri nelle ossa; da ultimo la riconquistata quiete notturna, l’organo ieratico che idealmente invita al raccoglimento e alla preghiera e le tenebre che avvolgono ogni cosa, dopo un itinerario armonico di impressionante bellezza e nuovamente il si bemolle minore dell’esordio.
Certo per rendere poetico tutto ciò e sublimarlo in emozione pura occorrono una grande orchestra e un singolare direttore: è il caso dell’OSNRai e del suo direttore uscente Valčuha che ha distillato con cura i momenti rarefatti (e non sono pochi), facendo scintillare per contrasto i timbri luminosi di una compagine in gran forma, sbrigliando le redini nei passi più aitanti; deve aver lavorato molto in sede di concertazione e i risultati (la sera di venerdì, quando l’abbiamo ascoltata) sono stati di grande rilievo (il giovedì molti dei nostri lettori l’avranno di certo seguita in diretta radiofonica su Rai Radio 3 nell’ambito di Radio 3 Suite).
Un bell’arco quello delineato da Valčuha che in apertura è parso a taluni eccessivamente dilatato, ma in realtà tutto era calibrato e voluto, anche quel sostare iniziale. Molte le emozioni e grandi applausi da parte di un pubblico numeroso che assiepava l’Auditorium progettato da Mollino, e uscendo di sala la luna, che sempre evoca i versi immortali di Virgilio come di Leopardi, campeggiava alta: da un lato la Mole, dall’altro il cielo blu notte e i giardini Reali a far da sfondo, come magico scenario urbano, contraltare delle Alpi bavaresi descritte da Strauss; una Torino notturna (come in certi quadri di Casorati) non meno emozionante, l’ideale prolungamento di quanto appena ascoltato. E mai il rientro a casa, nonostante il freddo intenso di questi giorni è parso così forzato, tant’è che si sarebbe voluto procrastinare a lungo il permanere en plein air a godersi le bellezze della natura. Un plauso specialissimo all’intera OSNRai ed alle sue ottime prime parti (nominarle tutte porterebbe via troppo spazio) dagli ottoni (con tanto di tube wagneriane, trombone contrabbasso e suggestivi effetti fuori palco) ai legni (al consueto organico si aggiungono Haeckelphon, corno inglese, clarinetti in varie taglie e controfagotto) dalle percussioni, alle due arpe, alla pasta densa degli archi.
In apertura di serata si era ascoltato di Schumann il Concerto per violoncello e orchestra op. 129 che, diciamolo con franchezza, non è un capolavoro. Ogni volta che si ripresenta ci si convince sempre più di tale assunto. Il fuoriclasse norvegese Truls Mørk ha tecnica impeccabile, suono caldo, espressività da vendere e bei fraseggi sicché di fatto, in sintonia con Valčuha, coglie bene l’esprit un po’ bifido di tale opera, in bilico tra intimismo e zone fiammeggianti. Entrambi riescono così a riscattare in parte (ma solo in parte) quelle zone di obiettivo ristagno che qua e là dilagano in questa pagina fusa in un unico blocco e dal toccante Adagio centrale dove la concentrazione del suono era ottima, per contro bene in evidenza lo stacco del finale, con le sue frasi ritmicamente squadrate e l’incisiva, baldanzosa allure del tutto (ma anche qui non mancano ahinoi i momenti di cedimento). Prevale un colore cinereo, lo si percepiva nella lettura di Mørk e Valčuha, che apparenta talora il Concerto alle brume della Scozzese di Mendelssohn. Fin troppo impeccabile l’interpretazione (quasi neoclassica) del solista che talora lo si vorrebbe più incline agli abbandoni.
Applausi convinti e come bis l’immancabile, sublime Bach (Sarabanda dalla Seconda Suite, quella in re minore).
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