Continuano i contributi sul pianista Antonio Sardi de Letto.
Cesare Marinacci, che gli fu amico vicino, lo ricorda così.
Parlavamo sempre del futuro con Antonio; sempre aveva lo sguardo oltre, più avanti, più in alto del mio che spesso invece si perdeva in piccolezze contingenti; si conversava con lui di temi elevati, di bellezza e di arte, mai avvertendo l’autocompiacimento del suo profondo sapere quanto invece sempre l’entusiasmo di un novizio; ma anche si scherzava del più e del meno, così lievemente sapeva mutare registro, e mi stupiva la sua praticità nell’affrontare le situazioni più accidentali con quella disinvoltura degli eletti che lo caratterizzava fin dal cognome. Conobbi Antonio Sardi De Letto più di dieci anni or sono, quando ebbi la fortuna e l’onore di averlo come correlatore per la mia tesi di laurea su Gabriel Fauré.
Avevamo solo dieci anni di differenza proprio come Gabriel ed il suo amico-maestro Camille Saint-Saens, cosa che inoltre si notava a malapena in una figura dall’invidiabile aspetto, quasi adolescenziale anche in età adulta. E lui mi ricordava proprio Fauré, nella dedizione sincera alla sua arte ed anche un po’ nella sembianza che in quel periodo era ornata di un leggero pizzetto, elegante del resto come tutta la sua persona. Fu dunque per me feconda la scelta del professor Raoul Meloncelli, mio relatore, di inviarmi da uno dei suoi pupilli per affrontare un tale argomento di studio; mi apparve subito come un incontro importante dal punto di vista artistico come da quello umano.
Antonio era un vero specialista anche della musica francese; la suonava magnificamente all’interno del suo illimitato repertorio che spaziava, con sorprendente leggerezza, dal Barocco alla musica contemporanea ma con una predilezione per il romanticismo ed una passione per il mondo poetico di Schumann. Del pianista romantico Antonio aveva tutto, tranne gli eccessi: il talento, la figura bella, slanciata ed elegante, le dita armoniose e sottili ma robuste, la misura nella movenza sul palco che non tralasciava mai il rapporto col pubblico ma allo stesso tempo era intrisa di quella sobrietà che solo l’umiltà dei grandi può permettersi. Era anche dotato di una profondissima umanità, di uno spirito delicato e alto che traspariva da ogni suo gesto; era l’immagine di una nobiltà che viene dall’animo e che dunque non provoca soggezione ma solo ammirazione; mi conquistava questa signorilità d’altri tempi e luoghi, lieve e spontanea, mai artefatta e dunque amabile, rivelata nei comportamenti come nelle sue interpretazioni che giungevano al termine di uno studio invece rigorosissimo, impeccabile dal punto di vista tecnico come da quello storico-analitico.
Il suo mondo era pieno di bellezza ed ardore, sorretto da un pensiero vivo e da una grande cultura, non derivata solo dalla sua preparazione accademica ma da una curiosità innata e costante che lo portava in tutte le cose a scoprire continuamente e a riscoprire il già conosciuto; ricordo il suo tentativo, peraltro riuscito, di convincermi della grandezza degli studi sinfonici di Schumann che non erano tra le mie le mie passioni; con condivisione e pazienza guidava anche i suoi allievi che trovavano sempre in lui un didatta esperto, esigente ma anche amorevole e comprensivo; anche io ero partecipe di un grande entusiasmo vitale ed artistico e con Antonio mi trovavo anche scherzosamente a discorrere su tanti piccoli particolari a volte lontani che però rendono anche intensa e bella l’esistenza: i significati della figurazione d’apertura di Gaspard de la nuit, la farfalloneria di Liszt, il profumo delle arance del chiostro della nostra scuola.
Fu lui il primo, qualche anno dopo la laurea, ad accogliermi con calore in quel Pontificio Istituto di Musica Sacra quando vi arrivai come docente mostrandomi da subito un’amicizia che mi parve un raro dono nel nostro mondo e che si è confermata negli anni come un punto di riferimento imprescindibile. Anche nello studio Antonio era attentissimo, non tralasciava il minimo dettaglio, eppure il suo pianismo, pur maturo, scorreva naturale, mai ostentato, colmo di sentimenti e di sensazioni. Mi colpiva anche il suo ottimismo , la sua capacità di sdrammatizzare senza banalità anche le situazioni più complesse, capace perfino di rincuorare, lui, me per la sua malattia. Il suo amore per la musica era immenso eppure sempre incomparabile rispetto a quello che mostrava per i suoi cari; mi commuove ricordare che appena un anno fa mi confessò di voler rifiutare diverse importanti proposte concertistiche perché si sentiva sempre più ‘famiglione’. E’ fin troppo semplice in definitiva affermare quanto grande sia la perdita per l’arte; l’assenza dell’uomo è invece impossibile da esprimere. Resta l’esempio umano ed artistico, la fortuna di averlo conosciuto, ammirato ed amato, resta tra le pareti dei nostri luoghi la sua musica e il suono della sua anima bella.
Cesare Marinacci
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Cesare Marinacci ha Intrapreso lo studio della musica con la celebre pianista Licia Mancini, “Premio Chopin” a Varsavia. Conseguita “Con merito” la Maturità Classica si è Laureato “Con Lode” in Lettere presso l’Università degli Studi “La Sapienza”, dove ha anche ricoperto il ruolo di assistente e cultore della materia presso la cattedra di Storia della Musica. Ha compiuto col massimo dei voti studi interpretativi e compositivi ottenendo i diplomi di Pianoforte ‘Con Lode’, Musica Jazz, Musica da Camera, Musica Elettronica, Composizione e Direzione Corale. Si è perfezionato in particolare con Raoul Meloncelli, Enrico Pieranunzi, Sergio Fiorentino e Franco Scala seguendo nel contempo, presso la Prestigiosa Accademia di Imola, i seminari di altri insigni musicisti e musicologi come Piero Rattalino, Alexander Lonquich, Giorgio Pugliaro, Luis Lortie e Maurizio Pollini.Ha inoltre conseguito ‘con lode’ il Master in ‘Comunicazione’ dell’Università Luiss Guido Carli. Alterna l’attività musicologica, a quella concertistica. Autore e conduttore dal 2003 per la Radio Vaticana di trasmissioni musicali ha pubblicato diversi articoli di approfondimento storico-analitico, inoltre saggi, composizioni e monografie; tra i titoli si ricordano: L’Astro lontano, Apres un Reve, Sing a Song, Ravel: Genio e ‘regolatezza’, Chopin e Fauré: le affinità elettive, Voci dell’anima. Invitato regolarmente come relatore in occasione di corsi e convegni è docente di discipline musicali ed umanistiche per diverse istituzioni superiori ed universitarie.
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