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ANNIVERSARI. Il 10 ottobre 1813 nasceva Giuseppe Verdi
Deputato alla Camera anche quando sopraggiunse la sua volontà dimissionaria. In una lettera a Francesco Maria Piave datata 4 febbraio 1865 Giuseppe Verdi racconta la storia della sua vicenda parlamentare
di Giuseppe Verdi
T u mi domandi notizie e documenti sulla mia vita pubblica? La mia vita pubblica non esiste. Son deputato è vero, ma fu per sbaglio. Ti dirò nonostante la storia della mia Deputatura. Nel settembre del 1860 ero a Torino. Non aveva mai visto il Conte di Cavour ed era anziosissimo di conoscerlo. Pregai il ministro inglese d’allora perché mi presentasse. Il Conte vivea, dopo il trattato di Villafranca, lontano dagli affari pubblici in una sua campagna, credo, sul Vercellese, ed un bel mattino ci recammo da Lui. Dopo quell’epoca io ebbi occasione di scrivergli e di ricevere da lui qualche lettera, in una delle quali mi esortava ad accettare la candidatura a deputato che i miei concittadini mi offrivano e ch’io rifiutava. La lettera era amabilissima, e non sapeva come rispondere a quella lettera con un no. Mi decisi andare a Torino; mi presentai a Lui in una giornata di dicembre a 6 ore del mattino, con 12 o 14 gradi di freddo. Aveva preparato il mio spice che mi pareva un capo d’opera, e glielo spiatellai là tutto disteso.
Più volte volli dare le mie dimissioni, ma ora perché non era bene promuovere nuove elezioni, ora per una cosa, ora per l’altra io sono ancora deputato contro ogni mio desiderio ed ogni mio gusto
Egli m’ascoltava attentamente e quando gli descrissi la mia inattitudine ad essere deputato, e i miei impeti d’impazienza a lunghi discorsi che bisogna talvolta inghiottire alla Camera, lo feci in un modo così bizzarro ch’egli diede in un gran scoppio di risata. Bene, dissi fra me, son riuscito. Allora egli cominciò a ribattere una per una tutte le mie ragioni, e ne aggiunse alcune che mi fecero un certo senso. Io soggiunsi: Ebbene Sig. Conte, accetto: ma alla condizione che dopo qualche mese io darò la mia dimissione. Sia, rispose, ma me ne farete prima cenno. Fui deputato, e nei primi tempi frequentai la Camera. Venne la seduta solenne in cui si proclamò Roma, capitale d’Italia. Dato il mio voto, mi avvicinai al Conte e gli dissi: ora mi pare tempo di dare addio a questi banchi. No, soggiunse, aspettate finché andremo a Roma. – Ci andremo? – Si. – Quando? – Oh quando, quando!! – Intanto me ne vado in campagna. – Addio, state bene, addio. – Fur l’ultime sue parole per me. Poche settimane dopo moriva!…Dopo qualche mese io partii per la Russia, poi venni a Londra, indi da Parigi ritornai in Russia, venni a Madrid, feci un viaggio in Andalusia e tornai a Parigi ove mi fermai parecchi mesi per affari di professione. Stetii lontano dalla Camera per due anni e più, dopo vi sono andato rarissime volte. Più volte volli dare le mie dimissioni, ma ora perché non era bene promuovere nuove elezioni, ora per una cosa, ora per l’altra io sono ancora deputato contro ogni mio desiderio ed ogni mio gusto, senza avervi nessuna attitudine, nessun talento e mancante completamente di quella pazienza tanto necessaria in quel recinto. Ecco tutto. Ripeto che volendo o dovendo fare la mia biografia come membro del Parlamento non vi sarebbe altro che imprimere in mezzo di un bel foglio di carta: «I 450 non sono veramente che 449, perché Verdi come deputato non esiste»
(pubblicata in Giuseppe Verdi: autobiografia dalle lettere. A cura di Aldo Oberdorfer. Bur Biografie)