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Vienna a Verona con Colli e Ferri

di Francesco Lora
13 Gennaio 2016
in CONCERTI, RECENSIONI
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Home RECENSIONI CONCERTI
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Mozart, Beethoven e Schubert: nella stagione sinfonica del Filarmonico ha luogo un concerto sorprendente per qualità tecnica e mira interpretativa


di Francesco Lora


ECCO UNA DI QUELLE VOLTE nelle quali il critico musicale va ad ascoltare un concerto senza contattare l’ufficio stampa, con in tasca un biglietto anziché un invito, per il gusto vacanziero di passare una serata di buona musica senza doverne poi scrivere. Ed ecco una di quelle volte nelle quali, tornato a casa, egli non ha altra voglia che di recensire il concerto appena ascoltato: poiché qualcosa da dire c’è. Verona, Teatro Filarmonico, 9 gennaio e replica l’indomani, pubblico insolitamente numeroso. Programma coeso, lungo, forte, dedicato alla Vienna musicale tra Sette e Ottocento, attraverso (i) tre suoi eroi e tre differenti generi strumentali, e presentando nuovi interpreti di vaglia nonché maestranze altamente motivate. Formano la prima parte il Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in La maggiore KV 488 di Wolfgang Amadé Mozart (1786) e la Fantasia per pianoforte, coro e orchestra in Do minore op. 80 di Ludwig van Beethoven (1808). E si scopre – la carriera è ancora all’alba: ma quanta luce! – il pianista Federico Colli, classe 1988, premi di prestigio e talento da far sentire piccino l’ascoltatore.

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Si ha un Mozart elegiaco, secondo tradizione, con ornamentazione sgranata al colmo della nitidezza, con un dialogo solo/orchestra dove il saper esporre dimostra il saper ascoltare e con – soprattutto – un’erudizione, una forbitezza, una profondità d’eloquio al di sopra dell’aspettativa, al di sopra dell’abitudine e al di sopra del riferibile in termini tecnici. Ci si accorge, come sempre meno spesso càpita al musicofilo smaliziato, che l’orecchio è sempre vigile e tutto appeso all’ars oratoria di ciascuna frase. Tempo spedito nei movimenti esterni, tempo pensosissimo in quello centrale. A comandare, in quest’ultima materia, è il giovane Colli: il direttore, Federico Ferri, lo lascia fare, lo comprende, lo asseconda, presta il paesaggio orchestrale a quell’attore sonoro in scena, con la tecnica veneta del poco disegno e della tinta diretta, sfumata, alonata. L’Orchestra dell’Arena di Verona, che sta attraversando orribili momenti di vita nelle traversie economiche e gestionali della Fondazione, principia fredda e stanca, poi si fa rincuorare e si riscalda, si ammorbidisce, acquisisce corpo, volontà e partecipazione.

Sicché nella Fantasia beethoveniana erompe poi il lato tempestoso e virtuosistico di Colli, la concertazione di Ferri si fa ancor più sollecita – il brano è formalmente libero, con continui cambi di tempo e organico sovrabbondante: dunque uno fra i più difficili da preparare e dirigere – e l’orchestra corrisponde la dovuta generosità. A essi s’aggiunge il Coro areniano, in sé non sofisticato nel porgere ma timbrato e risonante. Nella seconda parte, si dice, Colli è sgattaiolato tra il pubblico; e Ferri domina da solo gli spazi smisurati della Sinfonia n. 9 in Do maggiore D 944 di Franz Schubert (1825). Due osservazioni sulla storia esecutiva della partitura dal Dopoguerra a oggi. Primo: l’egemonia direttoriale italiana, con Abbado, Muti e Sinopoli che bagnano il naso a Karajan, Solti e Barenboim. Secondo: una tradizione che coglie alla lettera il soprannome della sinfonia, “La Grande”, ma perlopiù dilatando i tempi e deformando così il regolare flusso, e omettendo i ritornelli per reggere all’aumentato peso del colossale impianto; l’esito evoca in tal mondo non tanto il grande quanto l’ingrandito, il gonfiato, l’aggravato. Ferri tiene alta la reputazione italiana e non cade nell’errore comune.

Tempi svegli, contrasti interni, bagliori timbrici, ritornelli quasi tutti al loro posto fanno traboccare di vita l’orchestra e aggiornano la pronuncia della partitura. Si ha dunque un primo movimento immane, ma festoso e sfolgorante, con scoppi nella fanfara degli ottoni – così dev’essere: l’uso sommesso e coloristico della sezione è faccenda stilisticamente più tarda – e una tensione in continuo accumulo nelle frasi lunghissime che ricadono su altre frasi lunghissime. Si ascolta e ci si deve tenere forte. Segue un secondo movimento dove l’Andante incede veramente con moto, e con riflessi sinistri, marcati, impassibili, salvo poi sciogliersi in abbandoni dove i legni del teatro possono mostrare ammirevoli risorse espressive. V’è un terzo movimento smagliante e disinibito, anch’esso con carezze e rubati alla viennese nelle sezioni interne. E ci si congeda con un finale entusiastico, in continuo progresso emotivo, dove l’orchestra è così accalorata da macinare ancora a tutta energia terzine ormai faticose: sono i concreti muscoli di chi, per porre la mira interpretativa un passo più avanti, non ha voluto risparmiarsi.

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Tags: Federico ColliFederico Ferri
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Francesco Lora

Francesco Lora

È laureato in Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo, e dottore di ricerca in Musicologia e Beni musicali (Università di Bologna). Nel presente è assegnista di ricerca in Musicologia e Storia della Musica (Università di Siena, aa.aa. 2021/23). Con Elisabetta Pasquini dirige la collana «Tesori musicali emiliani» (Bologna, Ut Orpheus, 2009-) e vi pubblica in edizione critica l’Integrale della musica sacra per Ferdinando de’ Medici di Giacomo Antonio Perti (2010-11) e oratorii di Giovanni Paolo Colonna (La profezia d’Eliseo, L’Assalonne, Il Mosè legato di Dio e La caduta di Gierusalemme, 2013-21). Sue la monografia Nel teatro del Principe (sulle opere di Perti per Pratolino; Torino-Bologna, De Sono - Albisani, 2016) e l’edizione critica del manoscritto viennese Austriaco laureato Apollini (musiche di Ferdinando Antonio Lazzari, Giovanni Perroni e Francesco Maria Veracini, eseguite a Venezia, 1712, per l’incoronazione imperiale di Carlo VI d’Asburgo; Padova, Centro Studi Antoniani, 2016). Attende attualmente alla nuova catalogazione degli archivi musicali della Basilica di S. Petronio in Bologna e dell’Opera della Metropolitana di Siena, nonché, con Giulia Giovani, alla ricognizione e all’edizione dell’epistolario di Perti (Università di Siena). Collabora alla Cambridge Handel Encyclopedia, al Dizionario biografico degli Italiani, al Grove Music Online e alla Musik in Geschichte und Gegenwart. Dal 2003 è critico musicale per testate giornalistiche specializzate, inviato nelle massime istituzioni di spettacolo europee; collabora col «Corriere musicale» dal 2013. Nel 2020 la Fondazione Levi di Venezia gli ha conferito il Premio biennale “Pier Luigi Gaiatto”.

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