di Luisa Sclocchis foto © Giovanni Hänninen
Un “Concerto per Milano”, questo lo strumento con cui la Filarmonica della Scala ha colpito il muro dello scetticismo e abbattuto le distanze. E ha colpito nel segno. Così ha portato la musica “colta” fuori dai palazzi, dalle sale ovattate, dai luoghi in cui è spesso costretta e reclusa: una Piazza del Duomo gremita ha accolto con entusiasmo l’evento, ipnotizzata, catturata quanto estasiata da quella musica che ancora qualcuno etichetta come “di difficile ascolto”. Questo l’avvenimento del 12 giugno, sul podio il Direttore Principale Riccardo Chailly, solista l’attesissima pianista argentina Martha Argerich. Nonostante la minaccia di pioggia dei vari bollettini meteo, in platea come in piedi, si è ascoltato in religioso silenzio. Una tensione palpabile ha accompagnato la diretta televisiva, su Rai 5, con le sue procedure di rito. Protagonista assoluta la forza dirompente della musica, coinvolgente, emozionante. Un programma accattivante quello proposto, iniziato con L’Apprenti sorcier di Paul Dukas e la Suite da L’Oiseau de feu di Igor Stravinskij, in cui la Filarmonica ha dato sfoggio di grande qualità tecnica e interpretativa.
Impeccabili gli equilibri, ottimo l’amalgama timbrico, curata nei dettagli l’espressività. Una lettura di alcuni dei più noti capolavori del XX secolo densa di pathos. Ma il climax della serata giunge con l’esecuzione del Concerto per pianoforte e orchestra in sol maggiore di Maurice Ravel. La Argerich, “la pasionaria del pianoforte”, come è talvolta definita, incanta con inarrivabile perfezione tecnica unita ad un’infinita tavolozza timbrica. Se il pianoforte potesse parlare lo farebbe nel suo tocco unico e inimitabile. Eleganza interpretativa, passione, magnetismo. In una parola, poesia. Accarezza gli ottantotto tasti, trasmette, comunica, fino a commuovere sull’Adagio assai del secondo movimento, rivelando una profondità introspettiva senza eguali. Un pianismo perfetto e magico, il suo, capace di mettere a nudo le emozioni e dar voce all’anima. Applausi scroscianti e la serata prosegue con il celeberrimo Boléro di Maurice Ravel. Cambia l’atmosfera, a conquistare la scena i travolgenti temi di quella che è riconosciuta come la più nota composizione del compositore francese. Dal pianissimo iniziale al maestoso finale, si susseguono i timbri in quella che lui stesso, in un’intervista del 1931, definì «una scrittura orchestrale semplice e diretta senza il minimo tentativo di virtuosismo», costituita da temi impersonali, melodie popolari arabo-spagnole in un lungo crescendo progressivo. Milano ringrazia, la musica conquista e il pubblico si lascia andare a commenti come: «che meraviglia, si dovrebbe fare più spesso».