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Può un’opera cambiare radicalmente ambientazione? Rivisitazione balneare dell’Elisir di Donizetti in scena al Massimo di Palermo. Le regia è di Damiano Michieletto
di Monika Prusak
I l capolavoro donizettiano torna al Teatro Massimo dopo otto anni più fresco e giovane che mai, tutto grazie alla regia di Damiano Michieletto, che sostituisce la campagna ottocentesca con uno stabilimento balneare dei giorni nostri. Quale ambientazione migliore per un luogo come Palermo. Tuttavia le prime reazioni del pubblico, specie di quello più maturo, sono di grande sorpresa: Nemorino appare nelle vesti di un bagnino, Adina di una proprietaria di un bar in spiaggia (con al bancone la giovane Giannetta), Belcore è un marinaio donnaiolo, un dongiovanni moderno in scooter sensibile al fascino femminile. Il ciarlatano Dulcamara – di notte Dj, di giorno venditore ambulante in jeep con quattro veline – vende, oltre al magico Full Energy Elisir, creme autoabbronzanti, antirughe e anticellulite, ma sotto banco tiene un oscuro commercio di cocaina. Eccoci quindi ai giorni nostri, che, sotto lo spassoso divertimento acceso dai coloratissimi costumi di Silvia Aymonino e dalle allegre scene di Paolo Fantin, nascondono una società degenerata e decadente. Di giorno si fa aerobica e sport da spiaggia – geniale la trovata di un gigantesco scivolo gonfiabile riempito di schiuma, nel quale si svolge la gran parte della scena di Giannetta con le compagne -, di notte, invece, si balla con luci da discoteca (luci di Alessandro Carletti). Adina usa il Mac al posto del libro, Nemorino si cimenta nel “moonwalk” di Michael Jackson, Belcore si fa la doccia in scena, mentre Giannetta ha perso la sua finta ingenuità. La regia esce dalla retorica ottocentesca pur mantenendo intatte le relazioni tra i protagonisti, a prova dell’universalità del teatro musicale di Donizetti.
Desirée Rancatore nei panni di Adina, donna di successo sensuale e desiderata da tutti gli uomini, delizia con meravigliosi acuti e agilità fino al punto di essere “costretta” a bissare Il mio rigor dimentica
E come si inserisce la musica del primo ottocento in tutto questo schiamazzo? La ferma bacchetta di Paolo Arrivabeni sul podio dell’Orchestra del Teatro Massimo ha mostrato che la partitura di Donizetti si adatta in modo eccellente a una così moderna visione dell’opera. Si notano i timbri, che Arrivabeni cura con particolare attenzione, e l’articolazione “antichizzante” dell’orchestra: lo si comprende sin dal Preludio, omogeneo e pacato, a tratti quasi nostalgico. Eccezionale e puntualissimo il lavoro che Arrivabeni svolge con i solisti su complicati duetti e arie di agilità; il merito è in gran parte degli stessi cantanti, giovani e frizzanti, dotati di importante tecnica vocale. Giannetta, interpretata da Elena Borin, coinvolge con la sua disinvolta recitazione ed eleganza, nonostante la voce a volte non riesca a superare l’orchestra. Belcore di Mario Cassi ha una presenza scenica adatta al ruolo, affascinante e intraprendente, sostenuta da un timbro baritonale caldo e interessante, che nei momenti di forte presenta anche notevole volume. Uno dei più applauditi è il divertente Dulcamara interpretato da Paolo Bordogna che, con una distinta naturalezza e una giovane voce di basso, approfitta delle debolezze dei bagnanti per vendere loro i suoi prodotti.
È sempre ben accolta la presenza sul palcoscenico del Teatro Massimo del soprano di coloratura palermitano Desirée Rancatore, che anche questa volta conferma la sua affinità con il repertorio belcantistico. La Rancatore nei panni di Adina, donna di successo sensuale e desiderata da tutti gli uomini, delizia con meravigliosi acuti e agilità fino al punto di essere “costretta” a bissare “Il mio rigor dimentica”, finale dell’Aria di Adina del secondo atto. Il più grande successo della serata è stata l’interpretazione di Celso Albelo nei panni di Nemorino, che con una singolare disinvoltura si trasformava da ragazzo ingenuo in latin lover nella scena con Giannetta, per poi ritornare dolce e innamorato della sognata Adina. La performance di Albelo, che ha una voce chiara e naturale, nonché una dizione perfetta, culmina in un caloroso applauso lungo alcuni minuti per la commuovente e sentita “Una furtiva lagrima”.
La regia di Michieletto non presenta punti deboli soprattutto per il fatto di aver lasciato invariate le relazioni tra i protagonisti. Tutto il resto, il cambiamento dell’ambientazione e dei personaggi, ha conferito all’opera una fresca ventata di contemporaneità, che ha convinto anche la parte inizialmente diffidente del pubblico del Teatro Massimo. L’opera può e vuole divertire, non rinunciando allo stesso tempo alla trasmissione di valori più profondi. Questa produzione coglie una certa superficialità dei rapporti umani di oggi, ma anche di stili di vita pericolosi e celati sotto un velo di attrattiva: Michieletto riesce a far ridere e riflettere senza alterare, tuttavia, il carattere lieve e leggero della commedia donizettiana.
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