
Concerti • All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia si sono avvicendati pianisti di spessore per l’integrale dei concerti con orchestra del compositore russo
di Daniela Gangale
L’OCCASIONE PROPOSTA DALL’ACCADEMIA DI SANTA CECILIA di ascoltare in due ravvicinatissime serate, martedì 8 e giovedì 10 ottobre, tutti e quattro i Concerti per pianoforte e orchestra e la Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov, è stata accolta con grande entusiasmo dal pubblico romano che ha riempito senza tentennamenti la sala più grande dell’Auditorio, per entrambi gli appuntamenti. E non hanno sbagliato gli appassionati del compositore russo; perché le serate sono state memorabili e hanno dato l’opportunità non solo di ascoltare tutto di seguito dal vivo un repertorio che difficilmente può stare tutto intero nemmeno in una stagione (e che tra l’altro, ascoltato in questo modo, rivela una sua linea interna molto coerente) ma anche di poter apprezzare la grinta e la personalità di cinque giovani ma già affermati pianisti, che hanno mostrato con generosità le proprie capacità tecniche ed interpretative. Ottima la prova dell’orchestra che si rivela sempre più duttile e capace di affrontare ogni genere di repertorio con immutata professionalità, mostrando delle vere punte d’eccellenza nelle prime parti; il direttore Alexander Sladkovsky, dal gesto nervoso ed energico, ha offerto una lettura dei brani di Rachmaninov che, soprattutto nella prima serata, enfatizzava spesso il carattere fortemente russo, melodico e avvolgente di certi temi e sapori dell’orchestrazione, mentre nella seconda serata si mostrava più asciutta e sobria.
I cinque pianisti si sono rivelati dei veri fuori classe, ciascuno con una distinta e spiccata personalità e tutti con una padronanza tecnica da veri virtuosi. Se l’esordio è toccato al più giovane, il russo Dmitry Mayboroda, che ha rivelato nel Primo Concerto un suono patinato ed elegante ma una lettura forse ancora giovanile ed acerba, Giuseppe Albanese ha tenuto in pugno il pubblico sin dai primi magmatici accordi del Secondo, imprimendo una enorme carica all’orchestra e attraversando i più diversi sentimenti, dal pathos all’ironia, dalla malinconia alla passione, come un vero e proprio mago; la standing ovation finale lo ha costretto a ben tre bis, tra cui un’originale versione di The man I love di Gershwin. La seconda serata è stata aperta dal Quarto, il meno frequente nelle programmazioni tra i Concerti del nostro autore; Sean Botkin ha giocato su un’interpretazione di grande eleganza, senza inutili enfasi, ponendo l’accento invece sulle asciutte peculiarità di questo brano, caratterizzato da una sensibilità più novecentesca. La Rapsodia op. 43 affidata a Mariangela Vacatello ha lasciato il pubblico in visibilio; la pianista italiana ha trasmesso un po’ del suo amato Liszt a questo Rachmaninov, in una lettura che oseremmo definire diabolica, oscillante dall’angelico perlato, perfetto per mettere in risalto il gioco combinatorio soprattutto della prima parte, alla velocità quasi disumana di altri momenti in cui sembrava letteralmente volare sulla tastiera, alle potentissime cascate di suono nei passaggi di ottave e accordi pieni, che costellano la composizione. Elegante e di virile asciuttezza l’interpretazione del Terzo di Nicolaj Lugansky; il pianista russo ha rivelato uno straordinario senso del ritmo, fondamentale in questo concerto, affrontando con estrema sicurezza tutta la composizione in una lettura ineccepibile, che ha scatenato il pubblico in un interminabile ed esaltato applauso finale.
© Riproduzione riservata