Ottima prova di sensibilità mozartiana per il pianista in veste di solista e direttore in occasione delle serate di concerti che chiudono la stagione torinese dell’Orchestra Nazionale Rai
di Attilio Piovano
GRAN FINALE DI STAGIONE A TORINO, presso l’Auditorium Toscanini per l’OSN Rai, con una full immersion mozartiana affidata alle mani esperte di Alexander Lonquich, nella duplice veste di pianista e direttore, giovedì 22 e venerdì 23 maggio. Non già il consueto concerto del giovedì, bensì due serate dai programmi dissimili, durante le quali Lonquich ha interpretato (e diretto) ben quattro Concerti per pianoforte e orchestra e due immortali Sinfonie. Coraggiosa e stimolante la scelta dei Concerti, dunque non i celeberrimi e pur sublimi K 466 o 467 o 488 o 503 o 595, ma i poco meno eseguiti K 453 e K 482 (la prima sera) seguiti dal piccolo e cameristico K 449 (la seconda sera); unica (graditissima) concessione alla notorietà con il preromantico e sempre toccante K 491, dal cupo do minore.
Lonquich possiede una tecnica a dir poco formidabile, un bel tocco anche se talora disvela qualche asprezza, certi attacchi provocatoriamente rabbiosi, arpeggi sgranati con energetica vis (al limite del nevrotico), ma poi sa sfoderare deliziosi cantabili e, soprattutto, dirigendo dalla panchetta del gran coda (e non solo, dacché nei passi orchestrali s’alza in piedi, comme il faut) riesce a governare il tutto con una saldezza davvero notevole. Del K 453 Lonquich ha evidenziato le arguzie e le sorprese armoniche del primo tempo, poi le delizie del tempo lento dai tratti ora accigliati, ora misteriosi. Da ultimo la quieta lineare scrittura del grazioso finale, tutto serenità giubilante, ma senza eccessi o sfrenatezza; Lonquich ne ha colto bene l’esprit, suono perlaceo, pulito e con una esattezza indicibile. Non solo, evidenzia bene quel tono da Singspiel che di questo superbo Finale (specie l’ultimissima sezione) costituisce l’elemento di maggior fascino. Molto bene anche il K 482, dal più vasto organico e dal respiro maggiormente sinfonico. Qualche sonorità acerba nel movimento iniziale e forse una eccessiva dilatazione in quello centrale, apparso un po’ a corrente alternata, ma poi la gioia e la naïveté di un popolaresco, rumoroso Finale che pare il gemello (colto) degli spassosi Concerti per corno.
Del cameristico K 449 Lonquich evidenzia opportunamente il singolare carattere, specie l’intensità e l’intimismo del tempo lento, ma anche quel mix di dotto e popolare che dilaga nel Rondò, nella zona centrale. Indicibili emozioni, poi, con il sublime (e, questo sì, celeberrimo) K 491. Quanta poesia in quell’esordio del pianoforte, come supplicante, dopo le ineluttabili frasi minacciose dell’orchestra foriera di pathos, la vasta cadenza dal pianismo ormai quasi prebeethoveniano, o addirittura con uno sguardo profetico su Schubert. E non a caso, se la prima sera Lonquich ha chiuso con un Minuetto dalle agrodolci dissonanze, proprio a Schubert ha scelto di ricorrere per il bis di venerdì, eseguendo il primo dei Klavierstücke D 946 (in mi bemolle minore), pagina sublime, percorsa da raffiche e turbolente folate, sferzata dal vento di un ormai incipiente Romanticismo: come a sottolineare che le premesse già sono in Mozart (e nel 491 segnatamente).
Ed ora il versante sinfonico, in merito al quale occorre una doverosa premessa: Lonquich, pur essendo in primis eccellente pianista, ça va sans dire, è però anche, nel contempo un vero direttore, insomma non uno di quei pur validissimi pianisti che talora guidano un’orchestra (per lo più da camera) limitandosi ad alcuni cenni, dove necessario, o poco più; al contrario Lonquich non disdegna di impugnare la bacchetta e salire sul podio misurandosi non già (e non solo) con il territorio dell’universo tastieristico, ma altresì con quello puramente sinfonico. Ecco allora che, la prima sera, al cospetto della Sinfonia K 425 “Linz” – gesto chiaro e incisivo, una consapevole visione d’insieme della partitura, e al tempo stesso un’estrema cura dei dettagli – ha subito saputo entrare in medias res, cesellando le sospirose interpunzioni dell’Adagio iniziale per poi affrontare con vigore i climi militareschi dell’Allegro, le cerimoniose (talora fin leziose) frasi del garbato Andante, la rustica bonomia dello squadrato Minuetto memore di papà Haydn, per fiondarsi nel Finale, vivacissimo e scintillante, del quale ha ben evidenziato le profetiche anticipazioni rispetto alla successiva “Jupiter” che pare di intravedere in filigrana, marcando assai bene la brillantezza della pagina, ma accarezzando con cura anche la soavità di temi secondari e vari dettagli perfettamente messi a fuoco. Poi, il venerdì, grandi emozioni con l’inarrivabile magnificenza della Sinfonia K 504 “Praga” della quale Lonquich ha tracciato un acuto profilo, introducendo la serata con poche, puntuali parole di commento. E allora ecco il clima misterioso e fatalistico dell’Adagio, poi la scioltezza dell’Allegro dallo svettante éclat. Quanta grazia nell’Andante traboccante di charme e da ultimo l’irresistibile Presto (affrontato a velocità incredibilmente alta, col rischio di qualche lieve sbandamento ritmico, certi passi non del tutto in asse), ma con un magnetismo innegabile, grazie all’ottima performance dell’OSN Rai, davvero in gran forma. Applaudite lungamente tutte le sezioni (un plauso speciale al primo flauto, per gli argentini refrain della “Praga”) e un clima generale di festa, a due giorni dalla presentazione della nuova stagione 2014/15 che si annuncia oltremodo ricca di bei nomi tra solisti e direttori.
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