di Stefano Cascioli foto © Marino Sterle
In occasione del 1400° concerto dalla sua fondazione, la Società dei Concerti di Trieste ha organizzato una tre giorni interamente dedicata all’ultima produzione di Schubert, culminata lo scorso mercoledì con l’esecuzione della Winterreise affidata a Matthias Goerne e Alexander Schmalcz. Vedere il più grande liederista tedesco dei nostri giorni, alle prese con il ciclo più intenso e commovente della storia della musica non poteva non conferire un’aura sacrale che andava oltre alla performance concertistica. Infatti, il pubblico triestino ha avvertito sin da subito che non sarebbe stato un concerto come gli altri, non solo per una proposta lontana dalla più consueta opera lirica, ma anche per l’atmosfera che si respirava all’interno del Teatro Verdi. La scelta di tenere chiuso il sipario non era dettata solo da necessità estetiche e acustiche, ma ha creato quell’intima dimensione propria dell’Hausmusik che Schubert realizza nella purezza più assoluta proprio nei Lieder.
Accompagnato con grande cura dal pianoforte di Alexander Schmalcz, Matthias Goerne ci propone una lettura del Viaggio d’inverno che abbiamo già potuto apprezzare nelle sue tre versioni discografiche. Siamo lontani dal solenne declamato di un Fischer-Dieskau, ma anche dalla lirica partecipazione di uno Schreirer. Non sarebbe neppure giusto definirla una semplice scelta intermedia, perché lo Schubert di Matthias Goerne ha dei tratti davvero unici. Interpretazione intensa, coinvolgente, calda, ma mai eccessivamente esposta; può sembrare un ossimoro, ma abbiamo veramente assistito ad una Winterreise “lucidamente romantica”, anche nella scelta dei tempi, generalmente piuttosto lenti, ma non pesanti, e sempre vissuti con quel pathos lancinante che caratterizza i ventiquattro Lieder che compongono il ciclo.
Ottanta minuti di un ascolto ‘disperato’ sono trascorsi sotto un silenzio di tomba. La stessa tomba che il viandante, dopo un errare solitario e depresso, sembra vedere come unica soluzione alla propria esistenza. Avvertito da alcuni segnali premonitori già a metà del cammino, il Wanderer non trova pace nel suo oscuro pellegrinaggio, che culmina con la visione allucinata dei tre soli. I respiri affannati e sofferenti con cui Matthias Goerne ha interpretato il Lied conclusivo, Der Leiermann, rappresentavano con nichilismo freddo e apatico l’incontro con il vecchio mendicante reietto e sofferente, la cui ghironda non può che accompagnare l’ultimo, disperato canto del viandante. Perla finale di un concerto memorabile.