INTERVISTA
Il regista cinematografico approda all’opera di Verdi che martedì 13 dicembre al Teatro Filarmonico di Verona aprirà la Stagione Lirica 2012 di Fondazione Arena
di Anna Barina
«È una rappresentazione classica, nel senso più nobile della parola. Il mio motto è seguire la musica, nella partitura e nel libretto è già tutto scritto, mi piace l’idea di aprire un dialogo nella messa in scena direttamente con Verdi e con Boito». A parlare è Luca Guadagino, il regista chiamato a firmare il nuovo allestimento di “Falstaff”. Quarant’anni, palermitano di nascita, algerino d’origine e milanese d’adozione, abituato ad osservare la realtà attraverso l’obbiettivo di una macchina da presa, è al suo debutto nella regia d’opera. Dopo il successo del suo ultimo lavoro per il grande schermo, “Io sono l’amore” nella rosa dei candidati italiani all’Oscar come miglior film straniero e risarcito dell’indifferenza nostrana con oltre 6 milioni di dollari di incasso negli Stati Uniti e la candidatura ai Golden Globe, Guadagnino approda al «Falstaff», capolavoro estremo e sorprendente di un Giuseppe Verdi sul declino dell’esistenza.
Come ha deciso di passare dal cinema alla regia d’opera?
«Quando si manifesta un’opportunità per qualcosa a cui sono incline la colgo al volo. Come spettatore ho sempre avuto una speciale debolezza per l’opera lirica e, facendo il regista, ho pensato che sarebbe stata un’esperienza da provare. In questo caso la proposta mi è arrivata direttamente dal sovrintendente dell’Arena Francesco Girondini, che dopo aver visto “Io sono l’amore” mi ha raggiunto a Parigi, dove stavo lavorando, per propormi la regia di “Falstaff”. Credo, inoltre, che ingaggiare una conversazione culturale più elevata possa essere uno dei modi per contribuire a sbrogliare la spirale oscura della crisi che l’Italia sta vivendo».
Falstaff non è un’opera crepuscolare come potrebbe sembrare all’apparenza, l’animo del protagonista è quello di Verdi: indomabile e pieno d’energia travolgente e primordiale. Come ha costruito la sua interpretazione registica?
«Anche se apparentemente si presenta come comico, Falstaff ha un rovescio della medaglia molto malinconico. È una figura tragica, ne sono convinto, ed è questo aspetto che voglio sottolineare. La sublime malinconia che attraversa questo capolavoro infiltrerà tutto lo spettacolo, senza tuttavia inficiare la componente di divertimento. È straordinario notare come Verdi prenda sempre sul serio i suoi personaggi: quando leggono le lettere di Falstaff la musica si allarga in un romanticismo che è quello delle parole stesse, poi ridono del contenuto, ma in quel momento è in totale aderenza all’azione. Questo dice molto della straordinaria modernità di questa partitura, quasi sperimentale con i suoi incroci musicali continui».

Una delle protagoniste di “Io sono l’amore” è Marisa Berenson, attrice molto amata da Luchino Visconti, a sua volta regista di molte opere liriche. Troveremo richiami viscontiani in questo Falstaff?
«Non rinnego ne taccio lo studio compiuto su molti dei film di Visconti nella fase preparatoria di “Io sono l’amore”, più per una questione analitica che per trovare al film una matrice generativa. Purtroppo la pigrizia di dare del viscontiano a chi fa film con una certa cura della messa in scena dice tutto della nostra povertà culturale. Non credo che il mio film sia così tanto viscontiano, va verso altri tipi di cinema. Per quanto riguarda invece il Visconti regista d’opera ho visto purtroppo solo delle foto dei suoi allestimenti, posso quindi dire che il mio lavoro è ricondotto con concentrazione e sforzo solo al libretto e alla partitura verdiana».
In “Falstaff” la parola diventa suono, ogni frase musicale è sottilmente intagliata, ogni personaggio è costruito da piccole pennellate che creano un’immagine chiara e precisa dell’insieme. Penso ad alcune scene di “Io sono l’amore” e a come lei ha tratteggiato i protagonisti del film….
«La differenza tra cinema e opera, per quanto la mia esperienza sia breve in quest’ultimo campo, è che nell’opera si lavora su un modulo non psicologico di natura archetipica, con necessaria grazia nella causa ed effetto. Il cinema invece, quello che piace a me perlomeno, ha bisogno di una dimensione psicologica e ambientale che renda tutto una fotografia della realtà. Nel melodramma è molto diverso, come sono diversi gli “strumenti” che si utilizzano, i cantanti, ed è importante aderire alla loro natura e identità senza farli essere quello che non sono».
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DIREZIONE
Direttore
Daniele Rustioni
Giuseppe La Malfa (22 dicembre)
Regia
Luca Guadagnino
Assistenti alla regia
Stefano Trespidi, Andrè Antoine, Alban Meyer
Scene
Francesca di Mottola
Assistente alle scene
Sebastiana Di Gesu
Costumi
Antonella Cannarozzi
Assistente ai costumi
Sonia Travaglia
Lighting designer
Paolo Mazzon
Movimenti coreografici
Maria Grazia Garofoli
Acconciature
Manolo Garcia
Trucco
Fernanda Perez
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PERSONAGGI E INTERPRETI
Sir John Falstaff
Alberto Mastromarino (13, 15, 18, 20 dicembre), Leonardo López Linares (22, 29, 31 dicembre)
Ford
Vittorio Vitelli
Fenton
Francesco Demuro
Dott. Cajus
Saverio Fiore
Bardolfo
Nicola Pamio
Pistola
Ziyan Atfeh
Mrs. Alice Ford
Virginia Tola
Nannetta
Serena Gamberoni
Mrs. Quickly
Elisabetta Fiorillo
Mrs. Meg Page
Manuela Custer
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Direttore del Coro
Armando Tasso
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La sua ambientazione dell’opera non è coeva a quella verdiana, l’Inghilterra di Enrico IV all’alba del XV secolo, e per scene e costumi ha ricostruito il team di “Io sono l’amore”…
«Lo sfondo che ho scelto è quello di una colonia mediorientale sospesa nel tempo e nello spazio. Ho voluto dare risalto ad una particolare caratteristica dell’imperialismo colonialismo britannico, ovvero il prendere possesso di un territorio senza farsi contaminare da usi e costumi locali. Questa dimensione appartiene a tutti i personaggi che ruotano attorno al protagonista, una piccola cerchia di privilegiati che si divertono a pianificare burle per colpire le debolezze altrui. Sir John Falstaff, nella sua perversa attitudine alla vita, sarà l’unico a lasciarsi attraversare per osmosi dal luogo e a mostrarne l’influenza. La scene di Francesca Di Mottola, poi, rendono tutto più vaporoso che filologico e vellutato e i costumi di Antonella Cannarozzi, che percorrono l’intero Novecento, aggiungono leggerezza dinamica».
Ha dichiarato che la musica del Premio Pulitzer John Adams, colonna sonora di “Io sono l’amore”, si è incarnata nel tessuto del film. Succederà lo stesso con la musica di Verdi e la sua interpretazione del “Falstaff”?
«L’uso della musica di Adams serviva ad infondere agli attori il ritmo che volevo per le scene, qui lo spettacolo è già la musica, e sono io a seguirla. Inoltre nel “Falstaff “ lavoro con attori che sono prima di tutto dei cantanti, uno strumento musicale vivente unito alla possibilità della performance scenica, un ulteriore approfondimento rispetto alle mie esperienze nel cinema».
Lei e il direttore d’orchestra (il ventottenne Daniele Rustioni al suo debutto nel “Falstaff”), non raggiungete insieme l’età di Verdi quando iniziò a lavorare alla sua ultima opera, settantasette anni. Una squadra di giovani può rendere l’idea di un’opera che è un addio agli amori e alle passioni cantati per una vita?
«Siamo entrambi guidati da un grande amore e rispetto per il nostro lavoro, non è l’età anagrafica a garantire profondità di pensiero. Abbiamo tutti sotto gli occhi l’esempio di persone “mature” incapaci di far tesoro della propria esperienza, l’ultimo è il nostro ex Presidente del Consiglio…».
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Mi associo alle parole di Lorenzo…veramente un brutto spettacolo! Dispiace che in questi momenti di crisi vengano sperperati soldi pubblici per allestimenti così male realizzati sotto ogni punto di vista.
Una delle cose più brutte a cui abbia mai assitito a teatro. Non ho altre parole per descrivere la delusione nel farmi 4 ore di viaggio, 75 euro di biglietto (per due 150) e vedere rovinata una delle opere più divertenti e forti di Verdi. Nessun senso teatrale, nessuna conoscenza da parte del regista forse dell’opera stessa. Neanche il gusto di re-interpretare Falstaff. Il NULLA. Teatro semivuoto a parte una nutrita claque di amici, cantanti bravi abbandonati alla loro capacità di inventarsi qualcosa in scena, costumi a limite del ridicolo, incongruenze sotto tutti i punti di vista e spesso buca e palco neanche comunicavano. Un fruscìo di una cassa di un amplificatore (?) e il senso di aver buttato via del tempo. Da consigliare ad altri amanti della lirica? NO.