Concerti • Tingaud dirige un programma tutto novecentesco e valorizza rotondità, calore e cantabilità della Filarmonica Arturo Toscanini. Britten spetta a due signore del canto tra loro agli antipodi
di Francesco Lora
LA FANTASIA ON A THEME BY THOMAS TALLIS per quartetto e doppia orchestra d’archi di Ralph Vaughan Williams (1910), il ciclo di dieci liriche per voce e orchestra d’archi Les Illuminations e la cantata drammatica per mezzosoprano e piccola orchestra Phaedra di Benjamin Britten (1939 e 1975), lo studio per 23 archi solisti Metamorphosen di Richard Strauss (1945): tutto incentrato su musiche del secolo XX ed eseguito il 6 dicembre nell’Auditorium Paganini di Parma, il concerto della Filarmonica Arturo Toscanini si presenta quadripartito di netto. Le composizioni scelte contrastano infatti tra loro – e anche se del medesimo autore: è il caso di Britten – per genere musicale, concezione strutturale e organico strumentale, oltre che per orizzonte culturale di genesi, destinazione e recezione (il brano di Vaughan Williams inorgoglì l’Inghilterra, da due secoli comprimaria suo malgrado nella storia della composizione musicale, mentre quello di Strauss assorbe attonito la desolazione della Germania devastata dalla seconda Guerra mondiale). Le composizioni britteniane spettano anch’esse a due signore del canto tra loro agli antipodi.
Nelle Illuminations Mariella Devia si presenta per quel che è, ossia la massima belcantista italiana in libera uscita dal repertorio canonico. La sua tecnica astrale ha le giuste risposte già prima che la musica ponga i suoi interrogativi: si sorride ad ascoltare un registro acuto tanto svettante e luminoso, o i soliti fiati inesauribili, o il saltare da un capo all’altro della tessitura mantenendo uguaglianza di peso e timbro, laddove l’autore aveva forse pensato di mettere a gran cimento tutte le risorse di una brava concertista; per la Devia, questi sono esercizi sulle cinque note. Peccato, allora, che ella canti al leggio anziché a memoria, che la ricerca espressiva manchi di charme e che la pronuncia stessa del francese lasci a desiderare. In Phaedra Cristina Zavalloni è l’esatto contrario: la sua voce mutante da un repertorio all’altro, e non precipuamente lirica, sfida i limiti di estensione e risonanza ricercando a ogni frammento testuale il più appropriato colore, slancio e graffio. Il monologo restituisce un personaggio da brivido non solo all’ascolto, ma anche alla vista: eliminato il leggio, lo spazio dell’orchestra diviene per lei un palcoscenico vero e proprio, dove la recitazione è sobria ma nondimeno tale, vibrante, coinvolgente.
Il lavoro con una cantante e con l’altra porta ad approcci differenti il direttore stesso, Jean-Luc Tingaud. Se Vaughan Williams richiede e ottiene innanzitutto equilibrio tra i tre gruppi strumentali, Strauss vede amorevolmente svolta la propria polifonia; il podio dimostra di aver ben compreso, e poi di saper valorizzare, i vanti dell’orchestra emiliana: rotondità, calore e cantabilità. In Britten, come si accennava, Tingaud si trova a dirigere con due cuori in petto: accompagna la Devia con trattenuta diligenza e voluttà di suono, e infine la omaggia baciandole la mano; quindi dialoga in modo asciutto e tagliente con la Zavalloni, sciogliendosi infine in un comune abbraccio complice. A chi tra le due spetterà la palma?
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