
Il pianista russo in concerto a Milano: tra Chopin e Schubert anche una breve pagina di Aleksandr Griboedov
di Luca Chierici
È TEMPO DI RIPENSAMENTI anche per un altro grande pianista dei nostri giorni, il russo Grigory Sokolov, classe 1950, che oramai da venticinque anni si presenta al pubblico milanese grazie alla intelligente e premurosa attenzione della Società dei Concerti. In pochi si ricordano come Sokolov fosse giunto in Italia, a Torino, nel lontano 1967, fresco della vittoria al Concorso Čajkovskij dell’anno precedente, suonando il secondo Concerto di Saint-Saëns: un ragazzo di diciassette anni in possesso di un dominio assoluto della tastiera che per motivi a noi sconosciuti sparì dalla circolazione per più di vent’anni per riconquistare poi una posizione di primo piano attraverso una presenza costante nelle sale di tutto il mondo. Una tecnica straordinaria, un suono sempre incisivo, l’interesse per il recupero della letteratura clavicembalistica di Rameau, Couperin, Froberger propinati in dosi massicce a un pubblico sempre più soggiogato ed entusiasta hanno fatto di Sokolov un artista di culto le cui apparizioni periodiche vengono attese con trepidazione quasi si trattasse di un fenomeno astronomico di straordinaria bellezza.
Sokolov fa parte di quella categoria di artisti che fa di tutto per non piacere e instaura con il suo pubblico una sorta di rapporto sadico: programmi lunghissimi, molti bis ma di quelli corposi, che ti impediscono di prendere un treno per tornare a casa o più semplicemente di acchiappare l’ultima corsa di un mezzo pubblico, con gli organizzatori che guardano preoccupati l’orologio per il timore che gli addetti alla sala possano invocare più che comprensibili diritti sindacali. Ma il suo pubblico non demorde ed è capace di ascoltare in silenzio anche 35 minuti di fuori programma che hanno deviato l’originale cammino chopiniano puntando sullo Schubert degli Improvvisi op.90 (i numeri 2, 3 e 4), sul secondo dei Drei Klavierstücke D 946 (il momento migliore della serata), una ennesima (l’undicesima) mazurka del polacco e persino un piccolo valzer di tale Aleksandr Griboedov (1795 – 1829) drammaturgo russo morto giovane a Teheran in qualità di ambasciatore, travolto da una sommossa popolare, pagina curiosa, che in un primo momento poteva fare pensare addirittura al Prokof’ev giovanile.
Il programma vero e proprio previsto per la serata milanese non era del tutto nuovo e consisteva in una scelta di dieci Mazurke precedute dalla Sonata op. 58 di Chopin. Un impaginato già collaudato da Sokolov una quindicina d’anni fa e in territorio italiano proposto ad esempio a Bologna. Ma la Sonata l’avevamo ascoltata nel 1997 anche qui, nella stessa sala, con esiti molto differenti da quello dell’altra sera.
Circostanze dolorose che fanno parte del percorso di vita di ogni essere umano possono influire più o meno pesantemente sulla carriera e sulla sensibilità di un artista e qualcosa del genere deve essere accaduto di recente anche nel caso di Sokolov, che ci è sembrato oggi come aggrapparsi disperatamente ai testi classici tanto amati, quasi a poter ritrovare nelle note un’ancora di salvezza. Nello Chopin di Sokolov, e soprattutto nella Sonata, non vi era quasi nulla di ciò che la tradizione ci ha tramandato: le melodie erano sillabate ad alta voce, scolpite nel marmo (altro che cantabilità belliniana!), la tessitura contrappuntistica, rivitalizzata dall’autore in quegli anni attraverso lo studio del Trattato di Cherubini, era resa ancora più algida e meccanica, il rubato perdeva ogni connotato di eleganza per lasciare il posto a una frammentarietà di eloquio spesso angosciante. Una durata di quaranta minuti, rispetto ai trentacinque di 17 anni fa, è testimonianza più che evidente di una svolta che tutto sommato speriamo sia solo passeggera.
Anche il percorso narrativo delle Mazurke pareva a tratti disturbato da uno stato di irrequietezza insolito e forse non è un caso che Sokolov si sia alla fine rivolto a Schubert, visto come approdo a una espressività più controllata, a una malinconica felicità convogliata all’interno di uno schema più classico. Ma anche in quel caso le terzine dell’op.90 n.2 erano sgranate con prudenza, ben lontana dalla scintillante rapidità che di solito è associata all’esecuzione di questa pagina notissima. Nel terzo Improvviso, al contrario, la melodia era declamata quasi con disperazione, trasformando un luogo tradizionalmente immerso in una atmosfera soffusa in una sorta di grido di dolore. Sokolov ha il potere di sovvertire le regole del gioco, ma in questo momento crediamo che prevalga in lui l’emozione dell’imprevisto, dell’incontenibile. Il pubblico, non sappiamo quanto consapevole di questa svolta, gli ha tributato le ovazioni di sempre e ha trasformato in una festa un evento che molto probabilmente sottintendeva ben altri significati.
Recital del pianista Grigory Sokolov
Milano, Società dei Concerti, 2 aprile 2014
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