L’ensemble Silete venti! di Simone Toni ha presentato con successo in forma di concerto l’oratorio di Händel
di Luca Chierici
UN ENTUSIASMO CONTAGIOSO NEL DESIDERIO di far musica è alla base di tutta l’attività dell’ensemble Silete venti! fondato da Simone Toni una decina d’anni fa e dedicato in gran parte all’esecuzione del repertorio barocco secondo metodologie che tengono conto della filologia musicale nel senso più ampio del termine. I successi che il Maestro di concerto Toni e i suoi strumentisti hanno da allora collezionato attraverso concerti pubblici e incisioni discografiche eccellenti parlano da soli e il progetto triennale legato alla presentazione di musiche dedicate alla liturgia della Passione, giunto quest’anno al suo secondo appuntamento con il Messiah di Haendel, ha avuto il pregio tra le altre cose di aprire ancora una volta la chiesa di San Marco ai milanesi riconfermando il legame del tutto particolare che questo luogo ha con la musica, dalle visite del giovane Mozart alla prima esecuzione del Requiem di Verdi e a tante più recenti manifestazioni di successo.
Non sempre una esecuzione più morbida del repertorio barocco deve identificarsi con un che di noioso e parruccone
Quello di Toni e del suo Ensemble è un Messiah dove esce allo scoperto soprattutto il lato drammatico, quasi a sottolineare una somiglianza impressionante tra questa partitura formidabile e il Bach delle Passioni, e dove le scelte di metronomo e certi attacchi degli archi ricordano da vicino il Vivaldi più tempestoso.
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Tutto questo ci fa spesso dimenticare la dimensione più nota del “Caro Sassone” quale compositore delle grandi opere italiane, il suo magnifico trattamento delle voci, ma anche la pomposità di certe interpretazioni tradizionali, lo scintillio di un contrappunto lussureggiante, la maestosità dei cori, la rassicurante sonorità degli strumenti moderni. I tempi sono quasi sempre scelti secondo una scala di valori che sovverte quella tradizionale, come se in tutti i casi la velocità venisse aumentata di un fattore costante (a titolo di esempio, il Messiah di Toni ha una durata di due ore e sei minuti, quello di Hogwood di due ore e sedici, quello di Colin Davis di due ore e trentotto). Un Allegro diventa un Presto, un Largo un Andante con moto e così via, e all’interno della scelta di metronomo si insiste su un fraseggio che lascia senza respiro, con un uso di dinamiche portate all’estremo, contribuendo a generare un senso di ansietà o di giubilo che quasi sempre è funzionale al raggiungimento di un significato espressivo nuovo e antitradizionale ma che a volte mette a dura prova le capacità fisiche di strumentisti, coro e solisti di canto. Non possiamo mettere qui in discussione quali e quante siano le motivazioni “scientifiche” che stanno alla base di queste scelte: si tratta di fenomeni che non possono essere in alcun modo dimostrati e che hanno portato nel tempo a considerare del tutto inattuali le interpretazioni classiche di tutta la musica barocca così come veniva concepita almeno fino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso.
Ma al di là di qualsiasi tipo di disquisizione accademica, ci sembra essenziale che le nuove tecniche interpretative vengano utilizzate non per motivazioni fini a se stesse ma semplicemente per scovare nelle partiture antiche quegli “affetti”, quegli aspetti che soli determinano in fondo il significato ultimo della musica e della sua rilettura in epoche così differenti da quella in cui la stessa era stata pensata. Non sempre una esecuzione più morbida del repertorio barocco deve identificarsi con un che di noioso e parruccone, così come la velocità e l’affanno non determinano a priori un punto di riferimento inevitabile per una buona proposta di queste musiche. Il Messiah visto nell’ottica di Toni e del suo Ensemble è un punto d’arrivo che ha comunque lasciato il pubblico in uno stato d’entusiasmo davvero esaltante, e questo è sufficiente per determinare non soltanto il successo della serata ma il valore di una interpretazione tesa e sofferta. Questa musica contiene tanti e tali momenti di bellezza che possono essere verificati a nostro parere anche secondo altre prospettive. La coesistenza di visioni differenti è oggi forse l’unica strada possibile da seguire, fermo restando ovviamente un fondamentale rispetto per le fonti sia dal punto di vista dell’analisi dei manoscritti e delle edizioni a stampa che da quello della scelta di strumenti vicini a quelli originali.
Al grande successo di questa esecuzione del Messiah hanno contribuito le voci dei soprano Emanuela Galli e Silvia Vajente, del tenore Mirko Guadagnini, del baritono Marco Bussi, del basso Salvo Vitale e soprattutto del contralto Raffaele Pe, portatore quest’ultimo di una concezione del proprio ruolo vocale che non è diretta unicamente a sottolinearne gli aspetti virtuosistici.
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