«Trouble Tahiti» e «A Hand of Bridge»: una coproduzione italo-tedesca porta in scena l’America degli anni Cinquanta. La scrupolosa direzione di Anthony Bramall accompagna un buon cast vocale
di Gianluigi Mattietti
DITTICO AMERICANO AL COMUNALE DI BOLZANO, nella Stagione Oper.a 20.21, due brevi opere in un atto, A Hand of Bridge di Samuel Barber e Trouble in Tahiti di Leonard Bernstein. Come Zeitoper, strettamente legate tra loro, sul tema della crisi di coppia e sul dramma della incomunicabilità, anche con uno sguardo critico sull’America degli anni Cinquanta. La regìa di Patrick Bialdyga le fondeva insieme, ne faceva uno spettacolo unico, di grande appeal sul pubblico.

L’operina di Samuel Barber, composta su libretto di Giancarlo Menotti, rappresentata al Festival dei Due Mondi nel 1959, comprimeva nell’arco di soli dieci minuti le malinconie, le frustrazioni, i desideri inespressi di due coppie (Bill e Sally, David e Geraldine), durante una partita di bridge, affidando un’arietta a ciascuno dei quattro personaggi. Una drammaturgìa musicale concentratissima, sostenuta da un raffinato tessuto armonico, con venature jazz.
Più ampia e articolata l’opera di Bernstein, in sette scene, scritta nel 1951 su libretto proprio, messa in scena nel 1952 al Brandeis University Festival of the Creative Arts. In Trouble in Tahiti si racconta la giornata tipo di una coppia americana, Sam e Dinah, lui imprenditore di successo, disinteressato alla vita familiare, lei casalinga insoddisfatta, incapace di instaurare un dialogo col marito. Dietro i conflitti di questa coppia, che trascina stancamente il proprio matrimonio nell’immaginaria cittadina di Suburbia, si coglie l’aspra critica nei confronti del consumismo e dello stereotipo della famiglia nell’America degli anni Cinquanta. La partitura di Bernstein mostrava molti stilemi tipici del musical, intrecciando riferimenti diversi dal jazz al pop, dai jingles radiofonici alla musica religiosa, ma con una vena cupa, che metteva in risalto i sentimenti di tristezza e di rassegnazione dei protagonisti, e il loro desiderio di fuga dalla realtà (Trouble in Tahiti é appunto il titolo del film hollywoodiano nel quale Dinah si rifugiava), giocando anche sul contrasto con gli interludi di un Trio-Jazz che celebrava le gioie del consumismo (e che il compositore considerava come «un coro greco nato dalla radio commerciale»).
Anthony Bramall ha diretto l’Orchestra Haydn con piglio e verve ritmica, anche con un po’ di swing, ma senza esagerare: era semmai una lettera rigorosa, asciutta, che non cedeva mai alla superficialità. Un curioso effetto rétro era dato dal suono piatto dell’orchestra, che suonava dietro le quinte (isolata da uno spesso sipario) e che si sentiva in sala attraverso dei diffusori nascosti, come fosse la musica di una grande radio d’epoca (e tale appariva il fondale). Azzeccate tutte le voci (microfonate): Jennifer Porto interpretava una corrucciata e dolente Geraldine, in A Hand of Bridge, e un’isterica, disperata Dinah in Trouble in Tahiti; Sandra Maxheimer sfoggiava una voce duttile e brillante nei suoi due ruoli di Sally (in A Hand of Bridge) e della ragazza del Trio-Jazz; molto musicale e convincente nella recitazione Toby Girling nelle parti di David e di Sam; ottimi anche Patrick Vogel e Felix-Tillman Groth.
Lo spettacolo, coprodotto dal Teatro di Bolzano e dall’Opera di Lipsia (per questo le due opere erano cantante in una versione tedesca), giocava su un’ambientazione intimistica, familiare, molto anni Cinquanta, sdoppiando anche la coppia di Trouble in Tahiti, per dare forma ai sogni e ai ricordi dei due personaggi. Le due opere erano collegate senza soluzione di continuità, e ambientate in una scena unica, con un divano, un tavolo e poche sedie, uno spazio circolare e girevole (realizzato da Norman Heinrich), dove i personaggi si muovevano con gesti stereotipati, da soap-opera, in variopinti costumi anni Cinquanta (di Silke Wey), illuminati da luci intermittenti, psichedeliche, come in uno spettacolo di varietà. Mentre il Trio-Jazz, che richiamava star dell’epoca come Marilyn Monroe e James Dean, cantava con i microfoni davanti alla grande radio sul fondale. Quel piccolo palcoscenico girevole sembrava un ring nel quale si concentravano i conflitti domestici, e intorno al quale era disposto il pubblico, su gradinate: come se i drammi privati, più intimi, venissero messi a nudo, sotto gli occhi di una folla di curiosi. Alle varie scene erano intercalate alcune proiezioni (realizzate da Isabel Bialdyga) con interviste a coppie di varie età e condizioni sociali. Davvero inutili e noiose.