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Thomas Demenga e Schumann, lirismo melanconico

di Attilio Piovano
6 Aprile 2016
in CONCERTI, RECENSIONI
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Home RECENSIONI CONCERTI
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Il violoncellista e la Camerata Zürich hanno interpretato a Torino anche pagine di Šostakovič e dello svizzero Othmar Schoeck


di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino


La sera di martedì 5 aprile per il cartellone dell’Associazione Lingotto Musica il pubblico torinese ha potuto ascoltare la Camerata Zürich: ospite di lusso il violoncellista (bernese) Thomas Demenga che ha interpretato di Schumann il Concerto op. 129. E ne ha colto assai bene il lirismo melanconico, solipsistico, spècie del primo movimento, innervato di accensioni e strïato di inquietudine. Demenga ha un suono bellissimo, caldo ed effusivo, fraseggia con gusto e raffinatezza indicibili, raccoglie ogni spunto offerto dai trasalimenti che predominano nella zona centrale, dove i fiati della Camerata si impongono per precisione e rotondità di suono. Poi la tenerezza affettuosa della sezione mediana impregnata di spirito Biedermeier in cui la sintonia tra solista e cameristi è parsa notevole, infine la spigliata animazione dell’ultimo episodio che, si sa, interviene senza soluzione di continuità. Ben più di altre volte sono emerse quelle curiose assonanze con la mendelssohniana Sinfonia ‘Scozzese’ (certo evidenziate dalla tonalità di la minore), entro un pagina che sfocia infine in un’ampia cadenza, affrontata da Demenga con somma sicurezza e souplesse. Quella stessa souplesse che ha sfoderato nei due bis bachiani d’ordinanza (Allemanda e Bourrée dalla Terza Suite in do maggiore BWV 1009), confermandosi artista completo, dalla compostezza classica, lontano dai gigionismi appariscenti di altri ‘colleghi’, con insolite capacità di introspezione. Nel finale di Schumann, invero, non tutto era in asse con l’orchestra, nonostante il prodigarsi del primo violino, in veste di Konzertmeister. Sarà per questo che Demenga alla fine anziché complimentarsi con lui ha stretto la mano al primo violoncello? O forse era per solidarietà tra cellisti?

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In apertura di serata s’era ascoltato dello svizzero Othmar Schoeck il poco noto Sommernacht, Intermezzo pastorale per archi op. 58 (ispirato ad una poesia di Gottfried Keller che allude all’arcaica a tradizione di falciare il grano durante le notti stellate a favore di orfane e vedove). Si tratta di pagina gradevole quanto innocua, dalle atmosfere rarefatte, improntate a una eleganza un poco manierata. Pur essendo stata composta nel 1945, si rivela attardata su posizioni tardo romantiche, con vistosi echi mahleriani (assai meno brahmsiani), vaghe assonanze francesi e moderate aperture verso orizzonti neoclassici (lo Stravinskij dell’Apollon Musagète, meditato pur con guardinga cautela). Si fa palpitante nella parte centrale; nel suo eclettismo un poco frale (non immemore degli studi di contrappunto con l’austero e ben più greve Reger) permette di apprezzare la qualità timbrica dei cameristi zurighesi, abili nel dar corpo alle molte nuances e così pure di inebriarsi per quei frammenti melodici estenuati che qua e là emergono dal tessuto sonoro, vaga eco (ma sempre con estrema cautela) di Verklärte Nacht. Il Sommernacht termina con sonorità dolcissime e incorporee, ma – occorre ammetterlo con franchezza – non si prova alcun desiderio di riascoltarlo.

Non così nel caso della superba Sinfonia da camera op.73a del sommo Šostakovič. Che poi altro non è che la rielaborazione per orchestra da camera del Terzo Quartetto ad opera di Rudolph Barshai (datato 1946). Un anno solo separa dunque la pagina dal Sommernacht dell’anodino Schoeck, ma che abisso. I cameristi zurighesi ne pongono in luce al meglio le caratteristiche stilistico-espressive. E allora i climi graffianti, ironici dello smagato e agrodolce Allegretto, così idiomatico, poi la beffarda e scarnita bellezza del Moderato con moto con quei tratti in punta d’arco; la sinistra e ruvida esasperazione timbrica dell’esacerbato Allegro non troppo; e ancora, la lugubre desolazione dell’Adagio col fagotto che pare delineare spazi caucasici, ma stenta a decollare, da ultimo le screziate atmosfere del vasto Moderato finale, dai climi ossessivi e disperanti, fin dallo pseudo fugato che lo inaugura. Vi predomina una cupa tetraggine, giù giù sino all’enigmatico epilogo, misterioso come un protendersi sul vuoto. Epilogo in cui dovrebbe risuonare il gocciolio dell’arpa, citata ben due volte nel programma di sala (dacché Barshai la prevede effettivamente in organico accanto a flauto, oboe, corno inglese, clarinetto e fagotto), ma inesistente nell’esecuzione torinese, chissà perché. Peccato avervi rinunciato, dacché aggiunge un tocco di colore e la sua presenza – ascoltare per credere – non è del tutto pleonastica o esornativa. Applausi convinti da parte di una platea colpevolmente meno folta del solito. Ma si sa, il pubblico vuole la grande formazione e ama ascoltare e soprattutto riascoltare all’infinito solamente ciò che già conosce bene, si da uscirne rassicurato: a prevalere purtroppo è sempre la pigrizia atavica.   

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Tags: Camerata ZürichOthmar SchoeckThomas Demenga
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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