di Luca Chierici
Presentato ufficialmente da Daniel Barenboim e Zubin Mehta come giovane promessa, poi divenuto nel 2018-19 Direttore principale dell’Orchestra filarmonica di Rotterdam e dall’anno successivo della Israel Philarmonic, l’israeliano Lahav Shani, oggi trentatreenne, ha debuttato l’altra sera per la serie dei concerti della Filarmonica scaligera in un programma composito che aveva il suo punto di arrivo nella seconda sinfonia di Brahms, preceduta da una emblematica pagina di Charles Ives, The unanswered question, e dal Concerto in la maggiore K.488 di Mozart, suonato dallo stesso direttore.
Shani dirige senza bacchetta, ha un gesto non chiarissimo che fa uso ovviamente delle mani e che a volte mostra delle brusche impennate nei momenti di maggiore concitazione, ottenendo a quanto pare in ogni caso un’ottima risposta da parte dell’orchestra, che lo ha applaudito a lungo al termine della serata. La composizione di Ives è un esempio chiarissimo di contrapposizione tra tonalità e atonalità e si apre con una serie di accordi perfetti che vanno eseguiti in ppp, con un esito davvero ai limiti dell’udibile. Grandi contrasti sonori caratterizzano il seguito, con un approdo a un “forte” con quattro “f” che ribalta completamente il contesto sonoro. Pagina indubbiamente interessante, piuttosto inusuale come scelta di apertura di una serata e accolta con una certa titubanza dal pubblico presente in sala.
Shani ha poi diretto dal pianoforte (aperto) il Concerto mozartiano con buona perizia (gli si perdonano un paio di sviste accidentali) ma ha purtroppo evitato la bellissima cadenza originale dell’autore nel primo movimento per optare per un lavoro probabilmente di sua creazione. Un intervento senza capo né coda che si caratterizzava per improvvisi e inspiegabili cambiamenti armonici e che faceva rimpiangere non solamente la “prima scelta” mozartiana ma anche – se proprio era necessario – cadenze alternative scritte ad esempio da Busoni o da Godowsky.
Molto più convincente è stato Shani nella seconda parte della serata, dove l’orchestra si è fatta sentire in una sinfonia non certo di prima lettura e dove il direttore ha dato il meglio di sé nel finale, peraltro talmente entusiasmante e perentorio da non potere essere minimamente equivocato. A questo finale brahmsiano, più che alla prima parte del concerto, il pubblico ha reagito positivamente – anche inopportunamente, con un tentativo di applauso dopo il primo movimento – decretando un successo di stima per il giovane direttore.