di Attilio Piovano
Toccante inaugurazione di stagione 2022-23, la sera di martedì 11 ottobre, a Torino, presso l’Auditorium ‘G. Agnelli’ di via Nizza, progettato da Renzo Piano, per la stagione di Lingotto Musica: istituzione voluta e creata da Francesca Gentile Camerana che ci ha lasciati nel corso dell’estate, come ampiamente riportato dai media.
Si è trattato dunque del primo concerto successivo alla scomparsa di Francesca, ‘la signora della musica’, il primo altresì di una stagione ancora tutta impostata e ‘confezionata’ da lei stessa, nonostante le sue condizioni di salute negli ultimi mesi prima della morte si fossero sensibilmente aggravate. Al neo direttore Luca Mortarotti, per lunghi decenni collaboratore di Francesca Camerana e da lei espressamente designato, spetta ora l’onere e l’onore di reggere le redini dei concerti del Lingotto (già sta lavorando alla stagione 2023-24 in sinergia con Angela Brunengo, anch’ella collaboratrice di lunga data, attuale Responsabile Artistico, forte di una vasta esperienza).
Come ha ricordato in apertura il presidente Giuseppe Proto, fu Camerana a creare nel lontano 1988 la De Sono e nel 1994 ad ideare Lingotto Musica, potendo contare sull’amicizia di Claudio Abbado che le fu al fianco quando l’istituzione muoveva i primi passi, e la sostenne strenuamente affinché si realizzasse la sala ipogea di via Nizza, dove un tempo si assemblavano le auto Fiat: la famigerata ‘sala presse’ dove nacquero centinaia di modelli, dalla Topolino alla Delta, entro la struttura fordista (lo stabilimento del Lingotto dalle avveniristiche rampe elicoidali Nord e Sud e dalla ancora più modernista pista di collaudo sul tetto) progettata dall’ingegner Matté-Trucco ed ammirata da Le Corbusier. Una sala dove, grazie a Francesca (nipote del filosofo Giovanni Gentile e consorte di Oddone Camerana, per lungo tempo responsabile della Comunicazione Fiat, anch’egli scomparso di recente, a poco più di un mese dalla consorte) nel corso dei decenni le più blasonate compagini del mondo, i migliori solisti e le bacchette più insigni si sono avvicendate. Trent’anni di dedizione assoluta ai giovani (si pensi alle moltissime borse elargite dalla De Sono a strumentisti ora in carriera in mezza Europa), di dedizione alla musica tout court ed a Torino, sua città di elezione – Francesca infatti era nata a Londra, ma si era formata ed era vissuta a Roma – città alla quale, come ha ricordato ancora il Presidente Proto, lascia un patrimonio incredibile, un’eredità davvero preziosa che sarà compito di noi tutti valorizzare ulteriormente.

E dunque il concerto inaugurale, una vera e propria rivelazione, quello di martedì 11 ottobre. E allora ecco, dopo la commozione, le emozioni del pubblico che è tornato ad affollare l’Auditorium ‘G. Agnelli’ dinanzi a un programma per intero schubertiano – Sinfonia in si minore D 759 ‘Incompiuta’ e Sinfonia in do maggiore D 944 detta ‘La Grande’ – e di uno Schubert davvero inedito si è trattato, quasi una sorta di epifania, quello proposto da Jordi Savall alla guida della ‘sua’ formazione significativamente intitolata Le Concert des Nations: orchestra internazionale di altissimo livello, con musicisti impegnati sul versante degli strumenti originali (ovvero d’epoca, che dir si voglia), volta a restituire il suono ‘autentico’ di partiture troppo spesso manipolate se non vittime di vere e proprie mistificazioni.
Già avevamo apprezzato lo scorso anno il Beethoven (Settima e Ottava) rivisitato dal musicista catalano che definire ‘barocchista’ è assolutamente riduttivo. Il suo Schubert, parimenti, suona depurato da inutili e spesso eccessive ‘incrostazioni’, sicché appare come rinnovato, rigenerato e impregnato di una freschezza che si vorrebbe definire primigenia. Certo, all’inizio il suono ‘secco’ (e così pure in certo passi l’incisività dei timpani in primo piano, quasi in ‘presa diretta’) può addirittura creare un filo di sconcerto, ma ci si abitua ben presto a questa trasparenza, a timbri verosimilmente molto più vicini alle maniere proto ottocentesche. Ammirevole la ‘pulizia’ estrema di ottoni e legni (un plauso davvero speciale a tromboni e corni, specie il primo corno che ha saputo in più di un passaggio ottenere pianissimi perfettamente intonati davvero ardui per strumenti privi dei ritorti), superba la limpidità degli archi, un suono lontano dalle fumisterie agglutinate di ben altre esecuzioni. E Savall, a sottolineare il carattere internazionale della compagine, a fine concerto, con ammirevole umiltà e vero spirito di squadra, ha inteso nominare ad una ad una tutte le prime parti.
Perfettamente coerente lo stacco dei tempi, spesso improntati a sciolta scorrevolezza (e non solo per ragioni tecniche legate ai fiati), impeccabili i fraseggi e molto altro ancora. Già l’Incompiuta ha raggiunto vertici assai elevati di pathos, specie il secondo tempo, ma anche il movimento iniziale ha regalato indicibili emozioni, pur in assenza di quelle catramose profondità di contrabbassi cui siamo (purtroppo ed anacronisticamente) troppo abituati, si pensi alla frase d’esordio, catramose profondità che a ben guardare sembrano attagliarsi maggiormente a certo Bruckner.
Poi ecco che nella ‘Grande’ – con quell’inizio epocale che pare in anticipo sul germanesimo renano di Schumann e addirittura Wagner – Savall ha saputo offrire una vera e propria lezione di stile. Il suono risultava obiettivamente massivo e corposo, ammantato da una innegabile allure sinfonica (sì da segnare visibilmente lo ‘stacco’ stilistico rispetto all’Incompiuta) tanto da svelare le affinità di certi passi, prodigiosamente in anticipo, addirittura con Dvořák e Brahms: così nell’Allegro d’esordio, risultando sempre nitido e ‘trasparente’ per l’appunto. Come non pensare al Mendelssohn della ‘Scozzese’, poi, sia nell’Andante, più ancora nel terzo tempo (il sublime Scherzo) e poi ancora nel finale, dove spesso ricorre, si sa, una riconoscibile e quasi argutamente provocatoria pseudo citazione dalla Nona beethoveniana.
Non a caso proprio Mendelssohn è stato fatto oggetto di bis. Ed anche qui, una rivelazione: Savall ha proposto infatti la versione del 1834 dell’Andante della Sinfonia ‘Italiana’, con le revisioni di mano dell’autore, versione significativamente molto difforme, sapendola riconoscere, rispetto all’usuale veste sonora che siamo abituati ad ascoltare. Notevoli le varianti melodiche e più ancora armoniche; una vera sorpresa per i palati più fini, ma una gioia per le orecchie comunque palpabile anche per il pubblico dei non specialisti.
Toccanti le parole di Savall che ha inteso sottolineare il privilegio di poter far musica ed offrire all’ascolto capolavori assoluti in tempi così tragicamente calamitosi. Sicché la pur ‘inflazionata’ (e talora perfino abusata) citazione da Dostojevskij – «la Bellezza salverà il mondo» – è apparsa emblematica a suggellare un concerto davvero speciale del quale, per ragioni non solo emotive, a lungo conserveremo un intenso ricordo. Prossimo appuntamento il 2 novembre con l’English Baroque Soloists guidato da Gardiner per un programma tutto sul versante di Carissimi, Monteverdi, Purcell e Scarlatti.