A Pasqua, si sa, è tutto un proliferare di Passioni, Oratori e Messe composte dai più celebri autori per questa importante ricorrenza. Bach la fa da padrone, naturalmente. Il genio di Eisenach di Passioni ne scrisse cinque (e un Oster-Oratorium), di cui soltanto due giunte fino a noi. Indiscussi capolavori dell’arte musicale, sono l’immancabile appuntamento durante le festività pasquali. Così nella sola città di Milano possiamo ascoltarle entrambe, e a più riprese: all’Auditorium Fondazione Cariplo dell’Orchestra Verdi (con Ruben Jais sul podio), Passione secondo Matteo (19-20-21 Aprile) e Oratorio di Pasqua (25 Aprile); alla Società del Quartetto, Passione secondo Giovanni prima (19 Aprile), Passione secondo Matteo poi, la prima diretta dall’espertissimo Ton Koopman, la seconda a maggio (concerto fuori abbonamento, sabato 14 ore 19), quando la bacchetta di Masaaki Suzuki dirigerà per i milanesi la Yale Schola Cantorum e lo Yale Baroque Ensamble uniti per l’occasione in una collaborazione tutta americana. Il pubblico, sempre numeroso in queste occasioni, non può certo lamentarsi.
Ma c’è anche chi osa, puntando sulla curiosità degli assidui frequentatori delle sale da concerto, proponendo lavori di compositori meno conosciuti dal grande pubblico.
Tra gli appuntamenti più interessanti di questa settimana: l’Orchestra di Padova e del Veneto ha offerto agli avventori la riesumata Passione di Gesù Cristo di Ferdinando Paër (1810), in prima esecuzione assoluta in tempi moderni (La Stagione Armonica diretta da Sergio Balestracci), mentre l’Orchestra Rai di Torino esegue la poco ascoltata Passione di Antonio Salieri (21 e 22 Aprile, dirige Ottavio Dantone).
Il nome di Paër si confonde insieme a quello di altri compositori italiani (Mayr, Morlacchi) offuscati dalla maggior riconoscenza postuma di Cherubini e Spontini, e fa parte di quella generazione di musicisti che attende il talento rossiniano nel generale trambusto che travolge l’Europa a cavallo tra Sette e Ottocento, anni nei quali ormai le voci più significative del teatro musicale non risuonano più in Italia ma a Parigi. Paër è personalità duttile e prolifica, si cimenta in generi diversissimi e il suo Achille piacerà così tanto a Napoleone, che lo chiamerà nella capitale francese nel 1807 a dirigere la cappella di corte. La sua fama è legata ai lavori più riusciti, l’Agnese e Lodoïska, mentre spetta proprio a questa produzione veneta il merito di aver fatto rivivere, o meglio ri-suonare, la dimenticata Passione. Dimenticata forse perché non piacque ai critici della prima, che giudicarono la partitura “troppo leggera” per una tematica tanto solenne. Ma Paër era un belcantista, componeva sulla scia di Cimarosa e Paisiello e quello era appunto lo stile tanto amato dal pubblico di tutta Europa.
Altro caso quello di Antonio Salieri. La sua figura rimane oggi inscindibilmente legata alla fosca leggenda che avvolse la vicenda della morte di Mozart, che ha condannato il povero Antonio ad un eterno pregiudizio tra sospetti di avvelenamento

e presunte confessioni dell’assassino (chi non ricorda il film Amadeus di Milos Forman?). Il Tempo e la Fama hanno elevato la leggenda a storia esemplare di invidia per il Genio, per quel talento che soli pochi uomini hanno la fortuna di possedere e di cui gli altri possono soltanto ammirare i prodotti. Perché il Genio è e deve essere l’eccezione e l’età romantica farà di questa creatività ispirata l’essenza dell’Artista e ciò che è sostanza del suo lavoro, condannando al disprezzo la normalità, che equivale a dire mediocrità, banalità.
Negli ultimi anni alcune occasioni hanno dato al pubblico l’opportunità di apprezzare la bella normalità della musica di Salieri. Ricardo Muti scelse nel 2004, per la riapertura del Teatro alla Scala dopo i lavori di restauro, proprio quell’Europa Riconosciuta che nel 1778 aveva inaugurato lo stesso teatro. Fu la prima importante occasione nella quale si cercò di guidare il pubblico italiano verso un approccio storicamente più coerente alla musica del compositore, e che ha permesso, o dovrebbe aver permesso, di ascoltare Salieri senza pensare a Mozart, per apprezzarne le qualità rispetto ad un contesto più appropriato, quello della produzione musicale di fine Settecento e dell’opera viennese dello stesso periodo, di cui sappiamo Salieri essere stato uno tra i più stimati (dal pubblico e dall’imperatore) esponenti.
Per la stagione 2009-2010 anche il Teatro di Legnago (VR), città natale del compositore, ha dedicato al suo cittadino più illustre un piccolo Festival, riportando sulle scene, in prima esecuzione in tempi moderni, Il mondo alla rovescia, dramma giocoso su libretto di Mazzolà.
Ma dal 2000, ovvero da quando ne è stata pubblicata l’edizione critica, l’oratorio in due parti sulla Passione di Gesù Cristo ha conosciuto discreta fortuna tra gli esecutori. Come per Paër, non dobbiamo aspettarci i grandi pannelli contrappuntistici dello stile protestante. La volontà di drammatizzazione è evidente nella tendenza verso la teatralità e la rappresentazione. Lo stile vocale e strumentale, seppure in un clima generale più intimo rispetto al lavoro del parmigiano, pone l’accento sull’enfasi del sentimento, in accordo con il tenore del libretto, scritto da Pietro Metastasio (1730, già musicato da Caldara e Jommelli), il quale ebbe parole di grande lode per l’interpretazione musicale che il collega italiano ne aveva saputo dare.
Nel ruolo di solisti intervengono Pietro, Giovanni e Maria Maddalena a cui si aggiunge nella seconda parte Giuseppe d’Arimatea (che a Torino saranno, ancora per questa sera, rispettivamente: Maddalena, Roberta Invernizzi; Giovanni, Sara Mingardo; Pietro, Jeremy Ovenden; Giuseppe d’Arimatea, Vito Priante), mentre il coro si incarica di aprire l’oratorio e di concludere la prima e la seconda parte con una fuga.
Tutto sommato quella di Salieri fu una storia di successo, leggende a parte. Ma anche Paër ebbe a togliersi qualche soddisfazione, perché la sua Agnese venne a lungo additata come modello da chi non amava lo stile frizzante di Rossini.
Perché, dunque, tanti compositori che ebbero successo in vita, sono ora per lo più dimenticati o etichettati nelle pagine dei libri di storia della musica come “minori”?
Perché, è vero, costituiscono la norma rispetto alla quale è l’eccezione, l’eccentricità a fare la Storia. Ma il genio sarebbe pensabile senza una norma dalla quale distinguersi? Allora è solo una questione di prospettiva e possiamo legittimamente pensare che anche i minori abbiano contribuito a fare la Storia; la loro riscoperta ne rende più completa la conoscenza o almeno la percezione che abbiamo di essa.
Laura Bigi
…povero Salieri! Oltre a ricordare “Amadeus” di Forman, direi che è anche il caso di citare “Mozart e Salieri” di Puskin….
Salieri
Che profondità!
Quale arditezza ed armonia! Tu, Mozart,
Sei dio, senza saperlo; ma ben io
Lo so.
Mozart
Bah! Proprio?… Ma alla mia
Divinità gli è venuta ora fame.
da Mozart e Salieri, A. Puskin (traduzione di T. Landolfi)