di Barbara Babic
Silvesterkonzert 1988, Berlino: un diciassettenne pianista russo fa il suo debutto alla Großer Saal della Philharmonie eseguendo il Concerto per pianoforte e orchestra di Cajkovskij op. 23 sotto la direzione di Herbert von Karajan.
Esattamente ventitré anni dopo nella stessa sala, ma diretto da Sir Simon Rattle, quello stesso pianista è considerato ormai da tempo una star della musica classica. Si tratta di Evgenij Kissin che in questo concerto di fine anno (l’abbiamo ascoltato il 30 dicembre) esegue, accompagnato dai Berliner Philharmoniker, il Concerto per pianoforte e orchestra op. 16 di Edvard Grieg. Già dal celebre incipit dell’opera Kissin si rivela energico, risoluto, in alcuni passaggi quasi fin troppo aggressivo, atteggiamento che viene mitigato in maniera repentina e stupefacente nei momenti più cantabili del primo movimento. L’orchestra lo accompagna, lo asseconda e lo segue in maniera eccezionale, soprattutto grazie agli interventi di Rattle che si dimostra non solo particolarmente attento agli slanci del pianista ma un ottimo tramite tra quest’ultimo e la compagine orchestrale. Nella cadenza ogni colore proposto dal pianista brilla di luce propria (aiutato in parte anche dall’acustica a dir poco fenomenale della Philharmonie) e quella manciata di secondi magici tra la fine della cadenza e la ripresa orchestrale – voluti apposta da direttore e solista – fanno tenere il pubblico con il fiato in sospeso. Il secondo movimento del Concerto regala un’atmosfera incantata, che sfiora delle sonorità nel piano e pianissimo quasi irreali, e che confluisce senza soluzione di continuità nel travolgente e impetuoso terzo movimento. Evidente è l’entusiasmo del pubblico (costituito in questa parte dall’anno in buona parte da turisti in visita al tempo musicale della capitale tedesca) che acclama il pianista sul palco più volte pur non riuscendo a strappargli un bis ma solamente un sorriso poco convincente all’ultima uscita.
Il resto del programma è dedicato, secondo gli stilemi dei concerti classici di fine ed inizio anno, al tema della danza. La scelta di Rattle è caduta su opere non solo risalenti al periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento ma in particolare composte prima per pianoforte ed in seguito rielaborate per orchestra. Così, dalla classica e impetuosa Danza slava di Dvorak (op. 46 n.1) si passa alle atmosfere bucoliche (quasi reminiscenze di Peer Gynt) e incantate della Danza sinfonica di Grieg (op. 64 n. 2). Dopo la celebre Alborada del gracioso di Ravel, Rattle e la sua prodigiosa orchestra presentano l’affascinante danza orientaleggiante di Salomè dall’opera omonima di Richard Strauss, in cui bene emergono i contrasti timbrici e sonori (il tema dell’oboe e gli interventi cristallini della celesta contro il fortissimo dell’orchestra).
In un programma dedicato alla danza non poteva mancare L’uccello di fuoco di Stravinskij di cui vengono proposte la Danza Infernale e la Berceuse dal primo quadro e il Finale del secondo: dopo il Concerto per pianoforte e orchestra è senza dubbio il momento più riuscito ed apprezzato della serata. Sonorità sorprendenti (esemplare il pianissimo quasi impercettibile da cui emerge un eccezionale solo del corno), un’orchestra che ha dell’incredibile, un direttore preciso, incisivo ed energico. Il concerto si conclude con la Danza ungherese n. 1 di Brahms in cui la tradizione nordica tedesca si mescola al folclore dell’est europeo in un vorticoso andamento ballabile.
Al termine del concerto Sir Simon Rattle, abile comunicatore (non solo musicale) fa gli auguri di buon 2012 al pubblico a nome suo e di tutta l’orchestra: «Gesundheit, Freude und viel… mehr Musik!» ovvero «Salute, gioia e molta… più musica!». Al discorso segue il bis augurale e musicale: di nuovo una Danza slava di Dvorak, di nuovo in do maggiore (come quella presentata all’inizio del concerto) e «immer noch schneller» («sempre più veloce!»).
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