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Concerti • Pagine di Dott, Bloch e Schumann per l’appuntamento dedicato alla ricorrenza commemorativa dal Teatro Regio e dalla Comunità Ebraica. Sul podio Israel Yinon, solista straordinario in “Schelomo” il violoncellista Jan Vogler
di Attilio Piovano
S ignificativo appuntamento l’altro ieri sera, lunedì 28 gennaio, al Teatro Regio di Torino, per la stagione dei Concerti sinfonici, con la Filarmonica ’900 del Teatro Regio guidata da Israel Yinon: concerto realizzato in collaborazione con la Comunità Ebraica di Torino, in occasione del Giorno della Memoria. Introdotto dalle parole del vicepresidente della Comunità stessa, David Sorani, alla presenza di un pubblico foltissimo (molte le autorità istituzionali, fra cui il ministro Fornero), il concerto s’è inaugurato con la Passacaglia per orchestra composta da Hans-Peter Dott nel 2003 su commissione dell’Orchestra Sinfonica della città di Graz, alla quale è dedicata unitamente ad Yinon che all’epoca ne curò la prima assoluta. Pagina emblematicamente prescelta per il suo valore simbolico: Dott dichiara infatti di aver voluto realizzare una sorta di ideale sincretismo linguistico e culturale, allusivo ad una pacifica convivenza tra le tre grandi religioni monoteiste, Ebraismo, Cristianesimo ed Islam (dalle radici comuni, si sa, riconducibili alla discendenza da Abramo), e non a caso vi trovano impiego melodie tradizionali ebraiche ed arabe accanto a riconoscibili citazioni di un solenne Corale luterano. In partitura Dott cita espressamente la Genesi e in particolare il gesto simbolico di Noè che libera una colomba dopo il diluvio, metafora di una possibile e auspicabile pace universale. Di pagina suggestiva si tratta, dalle atmosfere ora statiche e assorte, quasi mistiche, ora un poco più increspate, laddove melismi dagli inconfondibili profili arabescanti, trattati in filigrane contrappuntistiche, si avanzano con leggiadria. Scritta in un linguaggio moderno sì, ma non estremo, spesso con vaghe assonanze pseudotonali, soffre appena qua e là di un certo eccesso di dilatazione. Ciò nonostante regala sincere emozioni: e l’intera platea l’ha salutata con applausi convinti.
Ma il vero clou emotivo è stata Schelomo, rapsodia per violoncello e orchestra del ginevrino Ernest Bloch: in assoluto, uno dei capolavori, uno tra i vertici della musica di ispirazione ebraica, solista di lusso lo strepitoso Jan Vogler che l’ha interpretata stupendamente, sapendo trascorrere attraverso una quantità indicibile di sfumature timbriche, dinamiche, con fraseggi ora fluenti ora accorati e una tecnica impeccabile: ben assecondato dalla Filarmonica ’900 in gran forma che ha fornito una prova di tutto rispetto, potendo contare sulla concertazione attenta e puntuale di Yinon (da ultimo, applaudito bis bachiano del fuoriclasse Vogler).
Chiusura di serata nel segno della “Renana” di Schumann. Davvero molto apprezzabile la performance dell’orchestra che ha dimostrato la sua duttilità nel passare da pagine contemporanee (sua vocazione dichiarata) a partiture del grande repertorio sinfonico di tutti i tempi. Fin troppo esuberante ed estroversa, pur tuttavia, la direzione di Yinon che, occorre ammetterlo, non sempre ha saputo evitare il rischio di una certa frammentarietà. Bene l’esordio per quel tono assertivo, ma avremmo voluto più possanza negli ottoni. Bene aver affrontato con bonaria serenità il secondo tempo, scivolato però un poco via: molti dettagli avrebbero necessitato di maggior cura nella concertazione che pure era stata scrupolosa in Bloch. Il clima Biedermeier ed intimista poi del tempo lento è emerso felicemente, anche se un poco privo di quella profondità che gli è connaturata, mentre il Feierlich ispirato alle volte del Duomo di Colonia mancava in parte di solennità e di quella imprescindibile ieratica austerità che occorrono. Stacco brillantissimo poi per il finale, a dire il vero fin troppo brillante; e se talora, affrontato con tempi guardinghi, perde in tensione stemperandosi eccessivamente, in caso opposto (come ieri sera, appunto) il rischio è che si finisca per innescare atmosfere lievemente nevrotiche se non caricaturali, del tutto estranee alle intenzioni di Schumann. Applausi convinti (e meritati) all’intera orchestra e, a onor del vero, anche al simpatico e lievemente eccentrico direttore.
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