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Opera • Con l’autorevole direzione di Nicola Luisotti e un’ottima compagnia di canto capeggiata da Leo Nucci, l’opera verdiana è andata in scena a Milano in un discusso nuovo allestimento, regista Daniele Abbado
di Luca Chierici
N uovo titolo della Scala in coproduzione con Londra, Chicago e Barcellona, il Nabucco andato in scena il 1° febbraio a Milano si è coraggiosamente imposto all’attenzione del pubblico in un teatro che dell’importante lavoro verdiano è stato autorevole custode fin dai tempi della acclamata prima esecuzione e che ne ha curato la presenza ininterrotta attraverso rappresentazioni memorabili sotto tutti gli aspetti. Tutti gli aspetti tranne forse quello registico e scenico che da sempre sono stati legati sia a una rappresentazione comune alle moltissime opere a sfondo biblico che si sono avvicendate nel corso del tempo (in primis, anche se non cronologicamente, il Mosè rossiniano) che a una lettura basata sull’aspetto risorgimentale di Nabucco scaturito dal famosissimo momento corale dell’atto terzo. Né il problema registico di tali opere ci sembra essere stato risolto in anni più recenti dalla pletora di riferimenti ai conflitti mediorientali, con tanto di guerriglieri ribelli, rapimenti e scene di tortura. Parte di questi conflitti traggono però ancora oggi lontana origine dalla tragedia della Shoah, e bene hanno fatto Daniele Abbado e la scenografa Alison Chitty in questa edizione dell’opera a ricordarne l’attualità sempre bruciante attraverso immagini e video e una realizzazione scenica del Tempio di Salomone che ricorda da vicino il cimitero ebraico di Praga e il berlinese memoriale dell’Olocausto.
Oppressione e libertà, catastrofi, distruzioni e annientamenti di popolazioni, di templi, di ideologie sono i temi di Nabucco che più stanno a cuore al regista, che ha voluto una ambientazione di costumi “neutrale” databile agli anni ’30 del ’900 e non ha insistito sulla riconoscibilità in scena di ebrei e babilonesi, accomunati solamente da un comune destino di lotta, di tragedia, di odio. La vista dei personaggi e delle strutture presenti sul palcoscenico è spesso commentata da filmati proiettati sul fondo scena ad illustrarne una sorta di pianta ortogonale, una prospettiva dall’alto che ci fa considerare gli avvenimenti proprio in un’ottica differente. Come accade in molti casi (si veda il recente Lohengrin), l’interpretazione scenica e persino quella musicale di un lavoro teatrale non debbono necessariamente dipendere dalla impronta che l’autore stesso volle di sé lasciare ai posteri. E nel caso di Verdi (e non solamente del Nabucco) il problema è efficacemente riassunto dalle osservazioni di Luigi Petrobelli, datate a più di cinquant’anni fa, giustamente ricordate nelle note di programma scaligere redatte da Emilio Sala. La mitizzazione di Nabucco in senso risorgimentale è tutta da ridiscutere, questo è vero, ma non sappiamo se l’interpretazione di Daniele Abbado, che di fatto riduce il “Va’ pensiero” a uno dei tanti momenti dell’opera, e non necessariamente al punto di accumulazione espressiva di tutto il lavoro, rappresenti davvero una conquista.
Nabucco non è un’opera del Verdi maturo, e il suo svolgimento musicale non è così strettamente dipendente da un’idea registica come lo possono essere capolavori successivi, psicologicamente molto più complessi nella caratterizzazione umana dei personaggi. Nicola Luisotti, direttore di grande talento e autorevolezza, ha percorso quindi una strada se vogliamo più tradizionale, ma lo ha fatto non solamente con una profonda conoscenza della storia dell’interpretazione di Nabucco, fortunatamente conservata attraverso quella decina di rappresentazioni chiave che ne hanno segnato i momenti di riferimento assoluto, ma anche guardando alle numerose e belle anticipazioni che caratterizzano molti momenti dell’opera in relazione al Verdi successivo: nello sviluppo della parte corale, senza dubbio, o nelle linee vocali avveniristiche affidate al personaggio di Abigaille. E la cura nella realizzazione dei momenti strumentali fuori scena, come la «musica cupa e lugubre» che accompagna l’arrivo di Fenena al martirio, ci ha ricordato luoghi musicali che proprio in quegli anni erano nell’aria, originati forse dalla berlioziana Symphonie funèbre et triomphale ascoltata a Parigi nel 1840, poco prima dunque della comparsa di Nabucco.
Luisotti ha dimostrato non poca abilità anche nell’omogeneizzare una compagnia di canto di notevole valore e dotata singolarmente di attitudini sceniche e vocali non comuni. Non si discute ovviamente della personalità di un Nucci che è ancora oggi capace, al suo ingresso, di far capire quale sia la differenza tra un cantante e un artista e che ha comunque raggiunto a tratti risultati eccellenti anche dal punto di vista strettamente vocale. Ma di forte impatto sotto tutti gli aspetti era certamente l’Abigaille di Liudmyla Monastyrska, che ha riscosso i più convinti applausi da parte del pubblico. Soprano lirico drammatico di eccezionale spessore, la cantante ucraina è dotata di un tale volume di suono nella regione medio-acuta da non rendere possibile un raggiungimento analogo anche in quella grave (e tutti sanno come la formidabile estensione della sua parte in Nabucco richiederebbe in tal senso una maggiore omogeneità di emissione). Disuguaglianza che nulla toglie in ogni caso alla sua straordinaria performance. Vitalij Kowaljow ha sostenuto con buoni risultati il ruolo di Zaccaria e Aleksandrs Antonenko quello di Ismaele (ma il suo timbro non è certo tra i più gradevoli). Gradevolissimo invece quello di Veronica Simeoni, cantante molto preparata ma non sufficientemente “grintosa” come Fenena. Al termine della serata si è potuto registrare un consenso non scontato per la compagnia di canto e per il direttore, mentre immancabili e questa volta scontati sono stati i dissensi finali per regista e scenografa.
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Sono andata per la la prima volta ieri alla scala per assistere alla rappresentazione del nabucco…..immaginate quanta trepidazione avevo di vedere scenografia e costumi…e invece cs ho visto ?il capolavoro di verdi adattato allo shoah……..impensabile e brutto da vedere…….complimenti comunque al coro della scala che sono riusciti a farmi gustare l’opera con gli occhi chiusi.
SCENOGRAFIA TERRIBILE CHE RENDE UNA SPLENDIDA OPERA TREMENDAMENTE PESANTE E TRISTE. SI SAREBBE ARRABBIATO, OLTRE ME, ANCHE GIUSEPPE VERDI. RIVOGLIAMO I COSTUMI DELL’EPOCA CHE VALORIZZINO IL MERAVIGLIOSO CAPOLAVORO QUALE IL NABUCCO E’.
MOLTO BRAVI GLI INTERPRETI ANCHE SE CON ADDOSSO GLI STRACCI MA, IL PARERE CHE HO SENTITO DAGLI ALTRI ABBONATI, ABITUATI COME ME AD ANDARE SPESSO AL TEATRO SCALA, E’ IN MASSIMA PARTE COME IL MIO.
SONO ABBONATA AL TEATRO ALLA SCALA DA DIVERSO TEMPO E AMO MOLTO VERDI E SPECIE L’OPERA NABUCCO CHE STA ANDANDO IN ONDA SU RAI 5 IN QUESTO MOMENTO E L’HO VISTA ANCHE IN TEATRO. SPLENDITA INTERPRETAZIONE DEL CAST, OTTIMO DIRETTORE D’ORCHESTRA MA…. DIO MIO….. CHI HA INVENTATO QUESTA SCENOGRAFIA? UN RE DI BABILONIA VESTITO COME IL RAGIONIER FANTOZZI SENZA UN ACCENNO DI CORONA. PER ME NON AZZECCA NIENTE IL PARAGONE CON LA SHOAH. NABUCCO E’ NABUCCO. SE NON SI PUO’ PRESENTARE COSI’ COME E’ STATO FATTO ERA MEGLIO NON FARLO PER NIENTE. NEMMENO A VERDI SAREBBE PIACIUTA UNA SCENOGRAFIA “AL RISPARMIO” DI QUESTO GENERE.