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Recensioni • Il grande pianista polacco ha tenuto un recital molto apprezzato al Bologna Festival, proponendo opere di Debussy, Brahms e Szymanowski. Questa sera suonerà al Maggio Musicale Fiorentino
di Simeone Pozzini
Altro che nuances: è Krystian Zimerman, suono puro. Suono senza robustezze, controllato perfettamente nel pianissimo fino all’imponderabile nulla che precede il silenzio; corde che risuonano con poca scolpitura del martelletto, solo quando necessaria. Eppure sempre suono pianistico reale, mai vago. Non stiamo qui parlando di un ideale estetico fine a sé stesso: sopravvalutare il suono è un errore, sosteneva Heinrich Neuhaus, ma ovviamente anche sottovalutarlo, poiché le scelte sonore migliori vengono raggiunte sempre in virtù dell’elemento musicale e il suono dovrebbe essere appropriato al contenuto. Con questa perigliosa ma seducente asserzione (chi può definire, in ultimissima analisi, l’oggettività del contenuto?) abbiamo ascoltato l’altra sera una magistrale lezione di Krystian Zimerman al Bologna Festival. Sì, una lezione. Poiché un concerto come il suo è stato una lezione di stile pianistico, di coerenza interpretativa, di intelligenza musicale, e aggiungiamo anche di eroismo fisico, viste le evidenti precarie condizioni di salute che lo hanno pochi giorni prima costretto a rimandare il concerto programmato al Maggio Musicale Fiorentino, in collaborazione con gli Amici della Musica di Firenze (sarà recuperato questa sera).
Pianista nel pieno della maturità interpretativa, il cinquantasettenne Zimerman ha inizialmente affrontato il Debussy delle Estampes (1904). Pagine di nota ed estrema bellezza nelle quali si sviluppa una sapiente commistione di esotismo e francesità, scritte nell’epoca d’oro della musica per pianoforte di inizio Novecento della quale Ricardo Viñes fu interprete storico di riferimento. «Pénétrer dans les notes», spiegava Debussy, chiedendo al pianoforte di non essere sé stesso e al pianista di eludere, con buona pace di Bartolomeo Cristofori e Gottfried Sillbermann, la «scatola di martelletti e corde». La cifra interpretativa di Zimerman asseconda e compatta gli aspetti poetici più variegati di Debussy come rilegando pagine di differente grammatura, ora carta velina ora pergamena, in un’unica concezione espositiva e sonora. Nella Soirée dans Grenade la vocazione dell’altrove metageografico, ovvero interiore, è condotta senza eccessive sottolineature idiomatiche, un po’ trattenendo quel climax spagnolo, ed avendo come risultato l’esaltazione delle componenti di suggestione più che la volontà declamatoria. In Pagodes trilli liquidi e fluidità negli arpeggi; nell’interpretazione di Jardins sous la pluie l’iniziale disegno delle quartine di semicrome è condotto con quella stessa eccelsa qualità che vede in Benedetti Michelangeli uno dei suo più grandi esponenti, ovvero la capacità di sommare il distinto all’indistinto sonoro in una fusione omogenea ed ipnotica. Tutto suonato di polso.
Il programma è proseguito con la Sonata op. 2 di Brahms, pagina giovanile (è del 1852, il compositore diciannovenne) e piena di vigore, con quell’inizio così incisivo e dirompente. Da subito Zimerman ha optato per una pedalizzazione abbastanza generosa nell’esposizione del primo tema, con un suono sempre rotondo e pieno ma, per intenderci, lontano dall’energico che Brahms scrive in partitura e che Richter rende con una massiccia robustezza di altro tipo. Interpretazione che rileva gli aspetti sinfonici in nuce del pensiero di Brahms e condotta anche qui con una moltitudine di colori. Sapiente lettura della sintassi brahmsiana con una netta contrapposizione degli elementi tematici del primo tempo. Ne esce un Brahms romantico e certamente “sperimentale”. Nella seconda parte del concerto torna Debussy con una selezione di sei preludi dei quali Zimerman (che li ha anche registrati per Deutsche Grammophon) preferisce non indicare le scelte. Nel concerto bolognese ha suonato in ordine Voiles, Minstrels, Des pas sur la neige, La fille aux cheveux de lin, La Cathédrale engloutie, Ce qu’a vu le vent d’Ouest. L’approccio al testo è anche qui profondo, improntato soprattutto all’analisi del gesto compositivo e quindi alla miglior resa sonora. Rarefazione – al limite dell’udibile – nel finale di Des pas sur la neige; nella Cathédrale engloutie, dopo le sospensioni accordali dell’inizio, un crescendo meravigliosamente condotto porta a un culmine sonoro che riempie la sala. Chiusura del concerto con le virtuosistiche e meravigliose Variazioni su un tema popolare polacco op. 10 di Karol Szymanowski.
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