L’ensemble tedesco ha proposto recentemente al Festival di Edimburgo Delusion of the fury del compositore americano, outsider di culto, noto per la sua ricerca sui microintervalli. Un video documenta la costruzione dei singolarissimi oggetti sonori
di Simeone Pozzini
N on sai dire se uscito da Hollywood, personaggio di un romanzo di Steinbeck, volto per un film di Kubrick, in che misura ignoto precursore di alcune tematiche affrontate più in là da Cage, del quale è di una decina d’anni più giovane (ma che non amava, così come l’opera di La Monte Young). Non sai dire quante “Americhe” può rappresentare Harry Partch.
Cresciuto in città isolate tra l’Arizona e il New Mexico, ha vissuto come un senza fissa dimora negli anni della Depressione, mantenendo corrispondenze con la rivista Bitter Music (raccolte in un volume acquistabile qui). Compositore, teorico, artigiano costruttore e inventore di strumenti. Vita da maledetto nelle periferie dell’anima, anche dopo la morte; Partch, nato nel 1901 e scomparso nel 1974, come tutti gli outsider di culto è infatti pochissimo eseguito e non sono state sufficienti le parole espresse da William Butler Yeats (che aveva incontrato a Dublino) per dagli un posto più vivo nelle sale da concerto: «A play done entirely in this way, with this wonderful instrument, and with this type of music, might really be sensational». Partch aveva ottenuto il permesso da Yeats per l’utilizzo della traduzione dell’Edipo Re (nell’organico anche il Chromelodeon, uno dei tanti strumenti di sua invenzione).
La ricerca musicale di Partch poteva apparire in Europa anacronistica rispetto ai grandi dibattiti della cultura musicale novecentesca, tra l’eredità di Schoenberg e Stravinskij prima, Darmstadt poi: rimettere in discussione il grande compromesso storico del sistema temperato, riprendendo il discorso là dove si erano arrovellati i grandi teorici medioevali e rinascimentali. Definiva il pianoforte, lo strumento che esprime inequivocabilmente il temperamento, «dodici sbarre bianche e nere davanti alla libertà musicale» (Harry Partch: a Biography, di Bob Gilmore, 1998). Le riflessioni di Partch tra 1923 e il 1949 sono state raccolte in un libro dal titolo Genesi della musica.
Se Marin Mersenne individuava diciassette o diciannove intervalli compresi in un’ottava (Harmonie universelle, 1636-37), Partch definisce 43 microintervalli suonabili sul Quadrangularis Reversum, naturalmente di sua invenzione, limitando ancor più l’eseguibilità delle sue opere. Ed è qui che l’Ensemble tedesco MusikFabrik entra in gioco con una progetto davvero interessante. Per realizzare l’Harry Partch Projects ed eseguire Delusion of the fury hanno fatto costruire campane di vetro, mamboo marimba e moltissimi altri oggetti sonori originali o totalmente rivisitati. Il video postato in questo articolo mostra tutti i passaggi della realizzazione degli strumenti. Tra i tanti, la Kithara, composta dalle corde di dodici chitarre, l’Eucal Blossom (lo potete “suonare” qui), il Crychord.