Inaugurata la stagione 2014-15 dell’Unione Musicale con la Kremerata Baltica e i grandi solisti. In programma pagine di Mozart, Beethoven, Bartók, Raskatov
di Attilio Piovano
SINGOLARE INAUGURAZIONE DI STAGIONE per la torinese Unione Musicale nel segno della grande musica da camera, all’Auditorium ‘Toscanini’ lo scorso 18 ottobre. Protagonisti di lusso due star di caratura immensa, vale a dire Martha Argerich e Gidon Kremer affiancati dall’eccellente ensemble della Kremerata Baltica che del violinista lituano è la creatura più nota e apprezzata. Concerto singolare, non tanto per la presenza di siffatti nomi che a Torino sono di casa, quanto per la particolare ‘confezione’ del programma con la presenza di pagine ora inconsuete ora in una singolare veste. E allora ecco come antipasto Cinque minuti della vita di Wolfgang Amadeus Mozart breve brano per violino e archi del russo contemporaneo Aleksander Raskatov. Lo avevamo già ascoltato anni addietro, Kremer lo porta spesso in giro per il mondo. È una innocua celia, vorrebbe essere un pezzo spiritoso, ma invero risulta tale solo in minima percentuale. A dire il vero Kremer ce la mette tutta per rilevarne la (pur modesta) arguzia. Poi la relativa rarità del beethoveniano Rondò Capriccio op. 129 (La rabbia per un soldo perduto), piccola bagattella all’ungherese risalente al 1795 (nonostante il numero alto di catalogo, giacché pubblicato da Diabelli solo nel 1828 e a quell’occasione risale anche il banale sottotitolo). Lo si è ascoltato nella efficace trascrizione per violino e archi di Victor Kissine; pezzo tanto insulso e verboso quanto modesto che peraltro Kremer e i ‘suoi’ nobilitano eseguendolo con una meravigliosa precisione tecnica e con impeccabile aplomb, distillandovi sforzati, vistosi rallentando e altrettanto enfatizzati ‘trattenuti’ sicché è davvero impossibile esimersi da un compiaciuto sorriso e da una partecipe simpatia. Poi il piatto forte del pianistico Concerto op. 19 di Beethoven, il Secondo pubblicato (anche se in realtà – si sa – il primo ad essere stato composto) ed è sempre un piacere ammirarne l’interpretazione di Martha Argerich: piena di energia nel primo tempo, molto nitore, precisione assoluta (perfetta l’intesa con i cameristi ‘baltici’) e anche una gradevolissima verve e molto sense of humour, come è giusto. Sublime è parso l’Adagio, seguito con raffinata sobrietà, senza leziosaggini o smancerie, emozionante il ‘passo’ lunare in cui il pianoforte ‘accompagna’ i pizzicati degli archi e toccante quella sorta di recitativo che pare anticipare addirittura Quarto e Quinto Concerto. Impareggiabile il gioco degli spostamenti d’accento nel divertente Finale eseguito con una chiarezza indicibile, una vera lezione di stile.
A centro serata gradevolissima incursione nel ’900 di Bartók con il Divertimento per archi eseguito dalla Kremerata con una bellezza di sonorità, una appropriatezza di stile, una perfezione di fraseggi ed una varietà di colori davvero mirabile. Stupendo il clou emotivo del Molto Adagio e a dir poco da manuale l’ipercinetico Finale impregnato di brio. Infine la curiosità del mozartiano Concerto K 299 per flauto, arpa e orchestra (che già di suo, non ce ne vogliano i lettori, non è un capolavoro quanto meno è al di sotto di parecchie tacche dei superbi exempla pianistici) proposto nella trascrizione di Kissine per violino e pianoforte. Trascrizione sì efficace, ma non basta per riscattarlo. Argerich e Kremer, in perfetta simbiosi, hanno convinto soprattutto nel conclusivo Rondò (facendo l’impossibile per attenuare la banalità e scontata prevedibilità dei lungi bassi albertini di molti passaggi che sull’arpa sfilano via un poco più sfumati, mentre il pianoforte ne mette inevitabilmente a nudo la meccanicità); gli applausi più sonori e partecipi sono fioccati dopo l’atteso bis: niente meno che il Finale della beethoveniana Sonata op. 47 (Kreutzer), una festa per le orecchie, per gli occhi e una vera delizia per il cuore e per la mente ascoltare questo capolavoro, questa sorta di irrefrenabile tarantella dalle mani miracolose di Kremer e della Argerich che paiono divertirsi e divertire, in realtà contano su una professionalità altissima e decenni di vero piacere di fra musica insieme. Indimenticabile.
Un cenno, nell’impossibilità di soffermarsi come occorrerebbe, in merito al recital, ancora per UM, del pianista Grigory Sokolov che (il 29 ottobre), dopo avere interpretato con una perfezione assoluta la bachiana Partita BWV 825 (in modo pianistico, sì, ma con una pulizia di abbellimenti oggi raramente inventariabile, un uso sopraffino del pedale e tempi rilassati sì da far emergere al meglio la bellezza della concentratissima pagina (sonorità quasi organistiche nel secondo Menuet e qualche concessione allo spettacolo solo nella conclusiva Gigue), ha poi sbaragliato con l’op. 10 n° 3 di Beethoven, attirandosi le simpatie anche dei più refrattari. Sokolov fa capire a meraviglia come in tale pagina già la Patetica sia dietro l’angolo, e il ’700 manierato venga spazzato come da un colpo di spugna, come una improvvisa e geniale fuga in avanti nel tempo. Quanta grazia e intensità nel Largo e molta misura nel Presto conclusivo. Non tutti concordavano invece sulle scelte interpretative dello Chopin collocato in terza posizione (Sonata op. 58), il Finale in effetti Sokolov lo suona in maniera quasi provocatoria (e di consapevole, intelligente provocazione si tratta, ça va sans dire). Tutti col fiato sospeso per i bis. E Sokolov, pur così scabro, ascetico, lontano in apparenza, in realtà si concede volentieri e allora via con una sfilza di Schubert: l’Improvviso op. 90 n° 2 dalla scorrevole scioltezza, il n° 4 dalla più tormentata parte centrale e ancora il secondo dei Klavierstücke D 946 (ampio e stilisticamente variegato) e per finire la chopiniana Mazurka op. 50 n° 3, applausi a non finire anche da parte dei più esigenti ed era ormai notte fonda. Chapeau.