Dopo quarant’anni il quartetto vocale inglese dà l’addio all’attività concertistica. Nelle loro ultime esibizioni eseguono composizioni di Johann Sebastian Bach e Arvo Pärt
di Daniela Gangale
DOPO QUARANTA ANNI DI ATTIVITÀ, lo storico gruppo vocale Hilliard Ensemble dà l’addio alle scene con un’ultima attesissima tournée, che ha incluso alcune date italiane tra cui il concerto di sabato scorso all’Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma. Il progetto che il gruppo ha ideato per salutare il proprio pubblico è di rara intensità e bellezza: seguendo il filo rosso di una spiritualità lontana da ogni bigottismo, l’Hilliard ha proposto cinque composizioni di Johann Sebastian Bach (quattro mottetti e un corale) sapientemente alternate a composizioni di Arvo Pärt tutte a carattere religioso. Non è questa la sede per tracciare una storia del gruppo inglese, famoso e amatissimo in tutto il mondo; ci basti ricordare che il loro repertorio ha da sempre dato spazio sia alla musica antica che a quella contemporanea, incantando il pubblico delle migliori sale da concerto ed portando alla registrazione, sin dagli anni Ottanta, una serie di album per la Emi e più tardi per la Ecm, che sono rimasti pietre miliari nel cuore degli appassionati. In particolare il legame con Pärt si è stretto a partire dal 1988, in occasione della registrazione di Passio, ed ha avviato una serie di collaborazioni anche con altri compositori dell’area baltica, cui l’Ensemble ha commissionato negli anni nuove composizioni.
E veniamo al concerto di sabato. Tra i tanti pregi dell’Hilliard di certo va annoverata un’estrema chiarezza che è risaltata luminosa anche nell’appuntamento della IUC; ascoltandoli cantare sembra davvero di leggere la partitura, tale è la precisione ritmica, la nettezza e la perfetta intonazione di ciascuna voce. Al tempo stesso l’affiatamento dei membri storici (oltre a David James, Rogers Covey-Crump, Steven Harrold e Gordon Jones si sono uniti sabato Monika Mauch, Claudia Reinhard, David Gould e Robert Macdonald per l’esecuzione delle musiche per doppio coro che erano in programma) dà l’illusione di ascoltare un solo strumento, perfettamente bilanciato e omogeneo. L’interpretazione delle composizioni bachiane, veri gioielli sia per la scrittura che seduce la mente sia per il pathos che tocca il cuore dell’ascoltatore, ci è sembrata in ogni momento autentica e sentita, assolutamente fuori da ogni retorica. La scelta di tempi leggermente ampi ha permesso una lettura ancora più intensa e godibile che è culminata, a nostro avviso, nel Gute Nacht del mottetto Jesu, meine Freude BWV 227, momento di autentica commozione. I brani di Pärt, di non facile esecuzione, sono stati altrettanto magistrali; in particolare a And One of the Pharisees è stato conferito un tono di toccante ieraticità che ha caratterizzato l’aspetto di forte narratività insito nella composizione, quel senso del raccontare attraverso una melodia intonata che rimanda all’antica salmodia, al canto religioso più antico della tradizione ebraico-cristiana, in un ideale ponte tra passato remoto e presente. Altro momento culminante si è rivelata l’esecuzione di Most Holy Mother of God, in cui le voci calde e profonde del gruppo storico hanno giocato con sapiente maestria lungo tutto lo spettro dei registri sonori, dal grave all’acuto, dimostrando un’eccellente compattezza e intensità interpretativa.
L’intima coerenza del programma, che ha rivelato i numerosi punti di contatto tra la spiritualità bachiana e quella di Pärt, ha dato a questo lungo concerto d’addio il tono e il senso di un’elevazione spirituale, di una preghiera che il pubblico ha accolto con affetto e rispetto, salutando gli artisti con un lungo applauso.