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Jordi Savall, con l’Orfeo su un’isola deserta

di Attilio Piovano
21 Marzo 2015
in Club dei lettori, Club dei lettori – Interviste
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di Attilio Piovano foto © Ivan Vittone


INCONTRIAMO JORDI SAVALL al Regio di Torino, al termine di una intensa sessione di prove; con grande disponibilità e cortesia, ha accettato infatti di rilasciare questa lunga intervista in esclusiva per il Corriere Musicale. Figura insigne di violista da gamba, direttore d’orchestra, pedagogo e musicologo catalano di notorietà mondiale, dalla ultra trentennale attività, specie nell’ambito della musica barocca, Savall è una delle personalità musicali più eclettiche della sua generazione, musicista dalla indiscussa autorevolezza e ricercatore appassionato, sicché a buon diritto viene considerato tra i più apprezzati e infaticabili artefici dell’attuale rivalutazione della musica antica. Centinaia i cd da lui realizzati (170 negli ultimi 10 anni per la sua etichetta Alia Vox) e numerosi i complessi da lui fondati, tra i quali Hespèrion XXI (1974), La Capella Reial de Catalunya (1987) e da ultimo – la sua, per così dire, più recente ‘creazione’ – Le Concert des Nations (1989). Premi e prestigiosi riconoscimenti internazionali non si contano nel suo ricco palmarès (tra le tante benemerenze, la laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Basilea nel 2013). Nominato nel 2008 dall’Unione Europea Ambasciatore per il Dialogo Interculturale e Artista per la Pace dall’Unesco, Savall crede profondamente nel valore della musica come mezzo efficace per la fratellanza universale.

La sua partecipazione poi al film di Alain Corneau Tutte le mattine del mondo (incentrato sulla figura di Marais), premio César per la miglior colonna sonora, lo ha imposto all’attenzione di un pubblico ben più ampio di quello degli addetti ai lavori e degli appassionati di Barocco.

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Ed è proprio alla guida del Concert des Nations – la cui denominazione deriva dall’opera di Couperin Les Nations («concetto che rappresenta la riunione dei gusti musicali e la premonizione che l’arte, in Europa avrebbe recato per sempre un marchio proprio, quello dell’Età dei Lumi») – che a Torino Savall ha tenuto un applaudito ed affollato concerto al Regio, nell’ambito di MiTo, la sera di martedì 16 settembre scorso, per intero dedicato alle suites d’orchestra tratte dalle opere del grande Jean Philippe Rameau.

Nel soleggiato tardo pomeriggio del nostro incontro il clima è tiepido. Ci lasciamo alle spalle la barocca piazzetta Mollino e veniamo inghiottiti nella semioscurità del Regio. Savall sta provando pagine da Les Indes Galantes e Les Boréades; pochi cenni di intesa, i musicisti – tutti specialisti dal vasto curriculum – suonano sereni e distesi nei loro abiti casual. Savall li lascia ‘sbrigliare’, guidandoli con mano sicura e gesti misurati. Quasi mai li interrompe, poche frasi smozzicate in francese, italiano e spagnolo, e una grande sintonia di intenti. Ad un certo punto lascia l’orchestra proseguire da sola (e con estrema sicurezza l’ensemble mantiene il tempo in maniera ammirevole, con millimetrica, cartesiana esattezza) ed egli si sposta entro la vasta sala per valutare l’acustica (che a onor del vero si rivela ottima per un complesso pur relativamente esiguo). Quando uno dei professori si accinge ad azionare la macchina del vento (che sibila a lungo in una delle danze de Les Boréades ad evocare l’augusta presenza del dio dei venti, Borea, per l’appunto) alcuni sorrisi e qualche battuta arguta circola tra i musicisti. Alla fine tutti sorridono. Savall scioglie la prova, dà il segno del ‘rompete le righe’ e ci si aggiorna alla sera per il concerto. Sono ormai quasi le 19. Ci salutiamo e insieme scendiamo in camerino. E l’intervista ha inizio già tra i meandri del Regio; Savall parla in modo pacato e con tono assai soft esprimendosi in un elegante italiano, talora mescolando qualche parola in francese o spagnolo. Il suo viso, le sue intere fattezze, lo sguardo, la barba grigia – ci vien da pensare – presentano una singolarissima somiglianza con il Verdi maturo. Evitiamo pur tuttavia di dirglielo, ci pare un’ovvietà sotto agli occhi di tutti: del resto glielo avranno già fatto notare decine di giornalisti. Appena sistemato il pc gli domandiamo a bruciapelo:

Un programma – quello di stasera – per intero dedicato a Rameau, il padre della moderna armonia. L’attualità della musica di Rameau?
«Una musica di una grande bellezza, di grande originalità, una musica assolutamente ricca di melodie e contrappunto che è stata influenzata dalla musica popolare (le danze) dagli stili precedenti. Lo si nota nelle Ouvertures e più in generale nelle suites; ma anche così facendo Rameau riuscì a dare una forma nuova, sicché la musica ancora oggi è attuale, rivela ricchezza di effetti, di colori, nella ingegnosa strumentazione, nell’uso del contrappunto, nell’adozione delle dissonanze…».

Proporre oggi pagine musicali legate alla mitologia: il programma di stasera allinea suite da Naïs (1748), Les Indes Galantes (1735), Zoroastre (1749) e Les Boréades (1764). Una sfida al pubblico? Ossia, i valori eterni della cultura possono ancora essere trasmessi con le storie arcaiche (e pur eterne) dei miti?
«Ma certo, i miti sono una sublimazione delle tragedie umane trasposte a un livello di ‘deità’ mitologica (così dice espressamente Savall e lo ripete più volte ndr.), certi miti non fanno che raccontare i problemi quotidiani, ma a un livello più alto».

Oggi si parla molto di filologia musicale quando sono in gioco esecuzioni del repertorio barocco. Spesso il pubblico lamenta nelle cosiddette esecuzioni filologiche eccessiva mancanza di colori, una certa monocromia che talora si traduce in noia. Lei maestro, al contrario riesce ad evitare tutto ciò. Qual è la giusta ricetta?
«Occorre avere musicisti eccellenti, che possano rivelare con la loro tecnica e la loro espressione il valore di ogni frase, che sappiano esprimere ‘l’ornamento’ combinato a un fraseggio, e poi… si canta e si piange, e c’è il ritmo della danza, quando la musica è piena di emozione non c’è noia».

Alla base di ogni esecuzione (e non solo di ambito barocco) esiste uno studio preliminare. Quanto sono importanti per lei gli studi sulle fonti?
«Ogni musica ha bisogno di essere studiata nelle sue condizioni e restituita nello stile del suo tempo, con i giusti strumenti ecc. Ogni musica ha una personalità; quando suoniamo lasciamo parlare la musica e mettiamo un supplemento di anima che ogni essere umano può portare, soprattutto quando si tratti di musicisti veri, non solo professionisti virtuosi, ma musicisti, per così dire, con un talento speciale ed un autenticità propria…».

Quanto la sua formazione di violista da gamba (o gambista che dir si voglia) l’ha avvantaggiata o eventualmente condizionata nel lavoro di concertazione e direzione?
«La formazione dapprima come cantore/cantante, poi come violoncellista e poi come gambista è stata fondamentale; poi è venuta l’epoca della direzione. Questa mia formazione… certo, mi ha avvantaggiato; la ricchezza di una concezione musicale, più ancora la ricchezza delle competenze di un direttore è data dalle esperienze globali… quello che ognuno deve esprimere con la musica – afferma dopo una pausa di riflessione – spesso proviene, ovvero è ispirato sia dal canto sia dalla danza».

Il Barocco è davvero la nicchia della Classica?
«Penso che il Barocco ci parli di forme diverse con libertà, è una musica che lascia parlare le culture di varie nazioni (aspetto cui Savall tiene moltissimo, l’interculturalità, ndr.), la musica francese è una cosa, quella italiana e quella tedesca un’altra e via dicendo; il Barocco è una mescolanza di personalità e di stili che danno alla musica la sua varietà e le conferiscono una grande ricchezza».

Quale il legame musicale con la sua terra d’origine?
«Il legame più forte? È associato all’idea di una Spagna che è stata per 700 anni un crogiolo di pensiero, una meravigliosa mescolanza delle grandi culture monoteiste, Islam, l’Ebraismo e il Cristianesimo, questo è quello che sento come legame e mi ispira; percepisco molto il dialogo con l’Oriente… è sempre stata importante in Spagna l’influenza della musica orientale su quella occidentale…».

Le incisioni discografiche oggi son davvero in crisi?
«Sì, proporre incisioni al pubblico è sempre più difficile, il mercato è in crisi, i giovani, poi, non comprano più cd…» (sorride).

Maestro: l’abbiamo vista per quasi un’ora al lavoro con il Suo ensemble. La sintonia ci pare perfetta. Il suo rapporto con i professori d’orchestra?
«Sono artisti di grande esperienza e sensibilità, mi seguono da tanti, tanti anni e il risultato del lavoro dipende dalla comunione che c’è tra tutti…».

Progetti futuri?
«A breve uscirà una incisione con musiche medievali della Galizia e musiche popolari. Poi un ulteriore progetto sarà sull’accostamento del Magnificat di Vivaldi e Bach e poi a fine anno parte un grande progetto, libri e dischi sul tema Guerra e Pace 1614 -1714…» (fa un gesto allusivo con la mano come disegnando un cerchio nell’aria o dirigendo un esordio di Ouverture ndr.).

Il suo rapporto col cinema?
«Da molti anni non faccio più nulla in tale settore… dall’epoca di Tutte le mattine del mondo i tempi sono cambiati…».

La partitura teatrale che si porterebbe sull’isola deserta?
«L’Orfeo di Monteverdi (risponde senza pensarci un secondo ndr.)

E la partitura sinfonica o cameristica che – idem – si porterebbe con sé sull’isola?
«L’Arte della Fuga, naturalmente».

Il compositore che vorrebbe riportare in vita?
«Un sogno impossibile (ride), no, non esiste…»

La partitura che non ha mai diretto e vorrebbe dirigere o il sogno nel cassetto?
«Immaginare che la musica abbia davvero il poter di trasformare le persone e arrivare a fare sì che con la musica si trovi la pace. Credo che sia possibile, ne sono fermamente convinto (afferma con decisione e dolcezza al tempo stesso ndr.).

Ha riscontrato che i giovani vengano volentieri ai concerti di musica barocca? Se sì perché?
«Sì, i giovani vengono, certo i biglietti non dovrebbero costare troppo e la musica deve essere piena di attrattiva per conquistarli…».

Cosa le piace e cosa detesta dell’Italia e degli italiani?
«Dell’Italia mi piace constatare che ha saputo amare le sue tradizioni e le ha mantenute, quelle… gastronomiche, ma anche l’arte, l’architettura… e gli italiani amano la musica… No, non c’è nulla che detesti…».

Le piace il Barocco architettonico piemontese?
«Sì, moltissimo!»

Se non avesse fatto il direttore?
«Avrei fatto il compositore…».

Ci congediamo con un sorriso e una stretta di mano. La sera nero-vestito sale sul podio con quella stessa naturalezza con cui abbiamo conversato a lungo. E la musica inizia a fluire, Gavotte, Menuets, Airs, Contraddanze, ogni pagina un colore, un fraseggio. Pubblico delle grandi occasioni e gli applausi scrosciano a lungo. Come bis la Hornpipe dalla haendeliana Water Music che conferma l’elevato livello del complesso con fiati dall’intonazione perfetta e archi dal suono bellissimo e vivo, per nulla monocromo come certi altri ensembles di filologi doc. Indimenticabile. E per noi che abbiamo conversato con Savall e ne abbiamo scoperta la profonda humanitas, la serata assume un valore speciale. Unico.

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Tags: Jordi Savall
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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