Il titolo di Puccini in scena al Teatro Massimo: una interessante lettura di stampo tradizionale con un ottimo cast
di Monika Prusak foto © Rosellina Garbo
UNA VENTATA DI FRESCHEZZA, nonostante le alte temperature che continuano a investire il capoluogo siciliano, ha accarezzato la prima serata operistica dell’autunno palermitano al Teatro Massimo. Non si tratta dello sfondo natalizio della Bohème, bensì della lettura che Mario Pontiggia propone di questa storia talmente conosciuta e amata, che canticchiarla sotto i baffi in platea sembra (ahimé!) un must assoluto per tanti. La prima, svoltasi alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del Presidente del Senato Pietro Grasso, è stata trasmessa su un maxischermo all’aperto con seicento posti tutti esauriti e numerosi spettatori in piedi fuori dall’area dedicata: un successo meritato per il Sovrintendente del Teatro Massimo Francesco Giambrone e per tutto lo staff impegnato nella produzione.

La lettura di Pontiggia è a dir poco tradizionale poiché si avvale di scene e costumi d’epoca (Francesco Zito) risplendenti nell’illuminazione piuttosto coraggiosa ma efficace di Bruno Ciulli. Pontiggia si concentra . . .
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sul valore inestimabile di una vera amicizia, mostrando quattro bei ragazzi non curanti del mondo circostante pronti a beffarsi di tutti e di tutto che affrontano insieme anche le situazioni difficili in cui l’amore ferisce, o tragici come quello della morte di Mimì, la ragazza-simbolo di una gioventù sprecata tipica di quei anni parigini. E allora l’unione diventa ancora più solida, la si sente nell’atmosfera tesa della soffitta, nei pallidi sorrisi di speranza che svaniscono non appena la giovane perde coscienza e spira. Gli attori di Pontiggia sono veri, liberi dalla gestualità spesso ridicolizzata del teatro d’opera, liberi di non seguire lo sguardo dello spettatore. In questo senso si rivela fondamentale la scelta del cast, riuscita perfettamente in questa produzione, che intanto presenta protagonisti giovani e belli, così come li voleva l’autore del testo originale Henri Murger.
Tra i quattro amici Rodolfo è il poeta dell’amore. Giorgio Berrugi interpreta il personaggio con una particolare delicatezza di gesti, facendo apparire il lato sensibile del ragazzo, tuttavia non privo di passionalità. La linearità interpretativa di Berrugi è accompagnata da una voce suadente e lirica, coinvolgente anche negli indistinti momenti di stanchezza. Accanto a lui sta il pittore Marcello, l’amico forse più caro, interpretato da Vincenzo Taormina, che ne fa un personaggio distinto ed elegante, sia nella statura che nella voce. Colline filosofo di Gianluca Burrato e Schaunard musicista di Simone Del Savio sono due personaggi senza i quali La Bohème non avrebbe alcun senso di esistere. I due cantanti danno prova efficace sia nel comico che nel tragico, quando dopo le burle e le follie del caffè Momus diventano lo sfondo malinconico e silenzioso della scena drammatica finale, come se con Mimì fosse morto un po’ di ciascuno di loro, un pezzo della loro vita, un pizzico della loro spensieratezza. È qui che la lettura di Pontiggia rivela uno sguardo che va a scavare dentro il personaggio, facendo apparire il magnifico libretto del duo Giacosa-Illica in una luce non tanto nuova quanto purificata.
Lana Kos è una Musetta brillante e spericolata, una perfetta grisette parigina che vive per l’eleganza di un nuovo gioiello, attenta più alla toeletta che alle relazioni sentimentali. È il sogno di tutti gli uomini, tra i quali ama soltanto Marcello, ma con un amore che lei stessa definisce “libero”. Kos è perfetta per il ruolo sia per quanto riguarda la voce sia per la padronanza del palcoscenico, che attraversa con un sex appeal non indifferente. Accanto a lei Mimì appare ancora più eterea, piena di nostalgia, di una Sehnsucht romantica verso un amore che non può essere raggiunto. Maria Agresta affronta la parte con una maturità esemplare, proponendo numerose sfumature dinamiche e timbriche, e con una notevole sicurezza tecnica nel rigoroso rispetto del testo musicale.
Quel sentimento che Mimì prova per Rodolfo sin dal primo sguardo costituisce per lei l’unica luce nel buio del suo “solitario nido”, l’unico profumo tra i ricami di “finti fior” che “non hanno odore”. Agresta esplode nella scena del primo incontro svelando un desiderio incontenibile e appassionato, ma presto ritorna al suo essere contenuta e tenera nella sofferenza della solitudine. Nel quadro finale Pontiggia prepara per Mimì un letto di biancherie luminosissime da eroina che domina la scena. Tuttavia, la cantante riesce a rimanere quella semplice ragazza del vicinato, che torna a morire tra gli amici, accanto al suo amato poeta.
Pier Giorgio Morandi dirige l’Orchestra del Teatro Massimo con naturalezza, ma non senza qualche nota fuori tempo. Dolcissimo e ben preparato il Coro di voci bianche di Salvatore Punturo, meno scrupoloso, invece, il Coro del Teatro Massimo.
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