Il titolo di Strauss in scena al Carlo Felice con l’ottima ed accurata direzione di Fabio Luisi. Lise Lindstrom è protagonista convincente
di Attilio Piovano foto © Marcello Orselli
Il Carlo Felice di Genova continua ad inanellare una serie di spettacoli riusciti e davvero efficaci. E fa piacere constatarlo. Ormai in dirittura d’arrivo, mentre viene presentata la nuova stagione, la sera di sabato 21 maggio 2016, è andata dunque in scena la straussiana Salome nel bell’allestimento che si avvale della regia di Rosetta Cucchi, delle scene di Tiziano Santi e dei costumi di Claudia Pernigotti (e si tratta di una nuova produzione del Carlo Felice). Tre sole le repliche, il 22, il 25 ed il 28 ed è un peccato, perché lo spettacolo meriterebbe di essere visto e rivisto più volte da un pubblico quanto più vasto possibile: ma si sa, il timore (talora giustificato) è di non riempire in toto la sala per troppe repliche dacché il pubblico preferisce i soliti titoli di repertorio; e dire che Salome è ormai un classico e soprattutto è un capolavoro assoluto.
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Ottima ed accurata la direzione di Fabio Luisi che ha compiuto un magistrale lavoro in sede di concertazione, potendo contare su un’orchestra in gran forma, duttile e generosa nelle sonorità, ma anche capace di mille sfumature e rifrazioni. Sicché la policroma partitura, opulenta quando occorre, striata di una serpeggiante e conturbante sensualità, ma talora ibridata di delicatezze timbriche indicibili e raffinate sottolineature, ne è risultata come rigenerata, come rivisitata con singolare efficacia: e lo spettacolo – un’ora e quaranta di musica sublime o poco più – è filato via liscio senza un solo istante di cedimento, senza un attimo di calo della tensione. Già in apertura quanta eleganza nella prima scena, grazie a Luisi che ha poi saputo ben tratteggiare i singoli personaggi, lumeggiandoli (una speciale attenzione ad evidenziare la strumentazione straussiana) e conferendo ad ognuno, come occorre, il suo specifico ‘colore’ previsto dal ‘mago’ Strauss. E allora la protagonista innanzitutto, dalla centralità assoluta entro la cupa e decadente vicenda, ma anche Jochanaan circonfuso di specialissime armonie e particolari giri melodici che lo pongono in una sua luce peculiare.
Luisi ha opportunamente puntato molto sullo ‘spessore’ orchestrale che innegabilmente la partitura possiede, richiamando qua e là non pochi tratti della produzione sinfonica di Strauss (molti stilemi dei suoi indimenticabili poemi sinfonici occhieggiano visibilmente tra le pieghe di questa partitura di sovrumana bellezza). Ogni personaggio è parso ben focalizzato e così pure il contrasto vistoso tra le figure stesse, sbozzato magistralmente da Strauss, ha beneficiato di una specialissima attenzione. E allora ecco tratti corposamente sfarzosi e lussureggianti, per contro istanti di delicata e rarefatta leggerezza. Quanta emozione nel punto topico in cui Salome si abbandona ai tentativi di seduzione del profeta; dalla lettura di Luisi è emerso al meglio lo iato, lampante in partitura, tra le fraseologie della donna, circonfuse di erotismo e sensuale carnalità e le risposte del profeta che, sgomento e sdegnato, la respinge con vigore, resistendole e in tal modo firmando la propria inesorabile condanna: dacché la giovane in cuor suo è in quel punto che medita la tremenda e cruenta vendetta.
La scena clou della danza dei sette veli in cui Salome acconsente al desiderio di Erode, come sempre, tocca vertici di emozione. Sotto il profilo musicale, si sa, è uno dei passi più alti della partitura e così pure della letteratura musicale di tutti i tempi: passo emerso in tutto il suo nitore, la sua bellezza e brillantezza sonora. Varietà di fraseggi, caleidoscopiche variazioni cromatiche e altro ancora hanno reso incandescente la pagina, evidenziandone la ricchezza del tessuto armonico e riverberandone l’aristocratica veste timbrica. Un plauso speciale alla danzatrice Beate Vollack, sensuale quanto occorre, mai volgare, al contrario, raffinatissima, disposta su una sorta di palco sul palco (dietro un velario e pur visibile) con Erode nella parte bassa della scena ad ammirarla, eccitato ed irretito. Se la danza ha lasciato tutti col fiato sospeso, non sono mancati, comme il faut, i momenti concitati, i tratti densi di pathos e di drammaticità. Eccellente la prova offerta dall’orchestra che il pubblico a fine serata ha applaudito a lungo.
Ottimo il cast, a partire dalla protagonista, il soprano Lise Lindstrom, che ha affrontato con sicurezza e convinzione l’impervia parte che le compete, andando ‘in crescendo’ nel corso della serata e da ultimo giganteggiando per sensualità ed aggressiva ‘malvagità’ come dev’essere. Apprezzata la sua emissione vocale, eleganza di fraseggi, capacità di conferire credibilità psicologica al personaggio e, non ultima, abile anche sul piano attoriale. Molto bene Herwig Pecoraro che ha sbozzato un Erode sufficientemente ‘antipatico’, untuoso e insinuante, con una vocalità giustamente un poco sopra le righe, come occorre, leggermente nevrotica: giù giù sino ai drammatici tentativi di dissuadere Salome dai suoi propositi omicidi e infine tragico e determinato nel decretare la morte della perversa figliastra. Bene anche Jane Henschel nei panni di Erodiade: l’avremmo voluta forse ancora più incisiva e ‘protagonista’ sì da rendere al meglio le contraddizioni e la complessità della non rettilinea personalità, mentre è parsa un poco in ombra, un poco ‘a latere’, per così dire. Ottimo Mark Delavan nel ruolo centrale del profeta Jochanaan, dalla sdegnata e mai scomposta ieraticità, ammirato sia sul piano vocale sia sul versante scenico. Apprezzato il Narraboth di Patrick Vogel. Tra i molti comprimari che hanno dato vita ad uno spettacolo di classe e di qualità citiamo almeno i giudei resi con convincente efficacia da Marcello Nardis, Alessandro Fantoni, Naoyuki Okada, Jason Kim e Alessandro Busi; una speciale sottolineatura per Marina Ogii nel ruolo delicato del paggio.
Lineare, tradizionale e pur efficace la regia della citata Rosetta Cucchi, funzionale allo spettacolo, che ha potuto contare su scene scarne, cupe, come pietrificate, con il pozzo in cui langue il profeta idealmente richiamato a fondo scena (con un doppio livello scenico e drammaturgico rispetto alla cavità in primo piano), costumi tradizionali in cui è prevalente il rosso nelle varie tonalità, dal brillante fuoco al cremisi (il vestito di Salome è ovviamente concepito per essere poi ‘smembrato’ dalla controfigura nella danza); ottime le luci di Luciano Novelli che hanno saputo ricreare i momenti drammatici dello spettacolo: con toni ora agghiaccianti e freddi, ora infuocati. Un’unica caduta di gusto laddove il Battista idealmente ‘battezza’ l’ormai defunto Narraboth. Da ultimo, come spesso accade, l’uccisione di Salome non viene resa evidente sicché la sua ‘esecuzione’ resta solamente evocata dalle tragiche parole di Erode, «Uccidete quella donna», seguite dal buio in sala. Applausi convinti da parte di un folto pubblico e molti consensi.
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